«Non sono attentati anticristiani» Il Papa chiede dialogo con l’Islam

Nell’Angelus il Pontefice non cita Israele nella lista dei Paesi colpiti dal terrorismo e il governo Sharon protesta con la Santa Sede: «Un’omissione che urla al Cielo»

Silvia Marchetti

da Roma

Le bombe del terrore non sono contro il Cristianesimo, ma contro l’Uomo. Benedetto XVI torna ancora una volta sulla definizione del terrorismo per fugare ogni dubbio: in atto non c’è nessuno «scontro di civiltà». Gli attentati colpiscono indifferentemente sia cristiani che musulmani. Sono «atti barbarici e anti-umani», aveva detto di fronte alle esplosioni di Londra, che vanno contro i precetti di Dio.
Ma ciò che sta più a cuore a Papa Ratzinger è ribadire, fino all’infinito, che al centro della strategia anti-terrore del nuovo pontificato c’è il dialogo interreligioso, pilastro dell’era Wojtyla. La Chiesa tenderà sempre la mano all’Islam che segue la via della pace, quell’Islam moderato e democratico a cui guarda con tanta speranza anche lo Stato laico - emblematica la consulta Islamica voluta dal ministro Pisanu. E sarà compito degli stessi cristiani cercare questo «contatto».
In vista dell’incontro a Colonia con le comunità musulmane tedesche che si svolgerà durante la Giornata mondiale della gioventù, il Papa vuol far capire che l’intesa interreligiosa è l’unica via «salvifica».
Ratzinger è convinto che l’Islam sia «una religione con elementi che possono favorire la pace» e che spetti ai fedeli di Cristo «cercare di trovare quegli elementi migliori che aiutano il dialogo». Alcuni giorni fa, il Pontefice aveva circoscritto le bombe all’operato di «un gruppo di fanatici mossi dall’odio», ieri ha ribadito che l’obiettivo di chi semina la morte non è il cristianesimo. Sono azioni che rientrano in «una intenzione molto più generale».
E così, più la furia assassina dei terroristi si accentua, più il Papa fa ricorso al linguaggio della riconciliazione, aprendo le braccia della Chiesa. Ma nonostante la «delicatezza» di Ratzinger, certe parole - quelle non dette, ma che invece Benedetto XVI avrebbe dovuto pronunciare - fanno scoppiare un «caso diplomatico» tra Santa Sede e Israele. Durante l’Angelus di domenica, Benedetto XVI aveva ricordato il sangue versato in Inghilterra, in Turchia, in Irak e in Egitto. Un macabro «elenco» dal quale era assente Israele, recentemente colpita a Netanya da un attentato suicida. Ma il governo Sharon non ha mandato giù questo lapsus: ieri il nunzio apostolico a Gerusalemme, Monsignor Pietro Sambi, convocato dal ministero degli Esteri, ha ricevuto una «protesta verbale» per lo sgarbo diplomatico.
E Israele ha annullato la riunione che rappresentanti israeliani e del Vaticano avrebbero dovuto tenere ieri a Gerusalemme sulla spinosa questione delle proprietà della Chiesa in Terrasanta. Nel comunicato del dicastero di Silvan Shalom, si legge che il «Papa ha deliberatamente mancato di condannare il terribile attentato di Netanya, un’omissione che urla al Cielo». Parole forti.
Il governo israeliano si sente tradito dalla promessa fatta da Ratzinger di proseguire nella strada del dialogo «privilegiato» con l’ebraismo tracciata da Wojtyla. Ma la «bacchettata» non finisce qui: il Pontefice è invitato a condannare gli attacchi «contro gli ebrei nello stesso modo in cui condanna gli attacchi terroristici contro gli altri». Un’accusa non troppo velata di usare due pesi e due misure. Secondo gli israeliani, il «silenzio» di Ratzinger «potrebbe essere interpretato come una licenza per la realizzazione di atti di terrorismo contro gli ebrei». La risposta del Vaticano non si è fatta attendere.

«Sorprende che si sia voluta distorcere così pretestuosamente l'intenzione del Santo Padre - ha riferito il portavoce Navarro Valls - essendo ben noti i numerosissimi interventi a condanna di ogni forma di terrorismo, da qualsiasi parte essa venga e contro chiunque sia rivolta».

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