Una nuova porta d’ingresso per la città che ricorda le grandi capitali europee

Premetto che, al di là di qualche ricordo di storia dell’arte studiata al liceo, di architettura capisco pochissimo. Anzi nulla, quindi tutto ciò che sto per scrivere ha un valore tecnico-estetico assolutamente vicino allo zero. Però a me piazza Cadorna piace. Saranno i colori, saranno le tettoie della stazione, ma mi ricorda un po’ le piazze di alcune città del Nord Europa soprattutto nelle giornate più uggiose che a Milano non mancano. Dal Duemila, anno in cui è stata ripensata da Gae Aulenti, mi sembra sia aumentato lo spazio per le persone e diminuito quello per le macchine. È solo una mia sensazione, ma mi sembra che ci si stia più comodi. Con le sue pensiline e i suoi negozi è un posto vivo e vivace, meno austero di molti altri (bellissimi) che fanno parte della storia di questa città. Mi dà l’idea che viva del suo presente. Gente che parte, che arriva, che transita, che passa da queste parti perché ha qualcosa da fare più che per turismo. È una delle nuove porte d’ingresso della città e infatti qui ogni mattina arrivano i pendolari che lavorano in centro, da qui si raggiunge Malpensa e sempre qui si intrecciano autobus, tram e linee della metropolitana rossa e verde. Non so se è una mia fortuna, non ho quasi mai fatto code, ma credo sia una delle piazze che ha la migliore viabilità della città: «tutto scorre» (senza far citazioni importanti) come se si fosse trovata una ricetta per organizzare il caos, come se ogni spazio avesse la sua funzione e ci fosse un luogo per tutto.

L’Ago e il Filo di Claes Oldenburg, il totem colorato omaggio all’industriosità milanese che ha fatto storcere il naso a parecchi milanesi, secondo me sintetizza perfettamente tutto ciò. È un’opera informale, in un piazza informale che però mi mette di buon umore. E mio figlio, che ha nove anni, è d’accordo con me.

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