L'inutile guerra ai meme dello Studio Ghibli e la non-arte di Chatgpt

Boom di immagini AI in stile Ghibli: tra chi grida al plagio e chi si crede artista, è solo un meme virale. Un gioco per tutti, ma niente di davvero originale o artistico. Duchamp? Meglio Giochi Preziosi

L'inutile guerra ai meme dello Studio Ghibli e la non-arte di Chatgpt
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Inutile polemichetta che sta facendo dibattere il mondo degli entusiasti dell’AI contro il mondo dei detrattori dell’AI. È partita tutto da una nuova funzione di ChatGPT che permette di realizzare immagini fumettistiche personalizzate che richiamano lo Studio Ghibli, la famosa casa di produzione del regista Hayao Miyazaki.

Nel frattempo gli utenti si sono scatenati sui social nel pubblicare le proprie immagini in stile Ghibli (ma puoi anche farle in stile Simpson, o in stile Pixar, o in stile quello che ti pare), nessuno ha resistito, scatenando da una parte le solite indignazioni sulla violazione del copyright (ma neppure Miyazaki ha commentato, e tra poco vi spiego secondo me perché), dall’altra i fanatici dell’AI, soprattutto coloro che credono che con l’AI si possa fare “arte” (ormai sono tutti creator), e in effetti si sentono tutti artisti. Guarda cosa ho fatto il stile Ghibli!

In fondo inserisci un prompt in ChatGPT, e viene fuori l’immagine che vuoi (più o meno). Il punto è: chiunque ora si crede Miyazaki? Molti sì, ma il fenomeno del meme è esattamente il contrario dell’opera d’arte, sebbene possa far sentire un artista chi non ha nessun talento (sentitici, tanto non cambia niente per nessuno). Tant’è che su Instagram ognuno ha pubblicato il suo ritratto in stile Ghibli. Quanto durerà? Poco. Quanto durerà Miyazaki e lo studio Ghibli? Molto.

Non è neppure una novità: da decenni, anche senza AI, non so quanti si siano fatti i propri ritratti in stile Andy Warhol, il più copiato. Marcel Duchamp, inventore del readymade, la rivoluzione dell’arte contemporanea, dove un oggetto comune scelto da un artista diventa un’opera d’arte per sua scelta (attenzione: prima però devi essere un artista, e far sì che entri in un museo, altrimenti sei solo un pirla), disse: «Avrei potuto fare un readymade al minuto per arricchirmi, ma ne ho realizzati poco più di una trentina in tutta la vita».

Questo perché l’arte è originalità, ma anche scardinamento dei cliché. Il meme sta all’arte come il gene agli organismi biologici (leggere Dawkins): la genialità umana (di pochi) ha sempre vinto sugli input della genetica (della maggior parte della nostra specie, e di tutte le altre specie animali). Il meme vale artisticamente quanto una barzelletta: fa ridere, non si sa chi abbia inventato quel particolare meme, e non importa, non ci importa chi, vale il tempo di un sorriso, di una satira anonima, di qualcosa da copiare (ancora copiare) e incollare (la società del copia e incolla). Che diventa virale perché appunto è come un virus, senza cervello. Significativo che diventare virali sia diventato un obiettivo degli esseri umani da social.

Ieri su Instagram sono stato taggato dall’amico esperto di AI Gianluigi Ballarani, che mi ha scritto pubblicamente (e polemicamente, benissimo): «Negli anni Dieci del Novecento, Marcel Duchamp prese un Orinatorio, lo firmò R. Mutt, e lo espose come opera d’arte. Non aveva creato un oggetto, ma aveva trasformato il suo significato. Perché? Perché il contesto cambia il senso. Duchamp non stava copiando, stava sovvertendo. Chi oggi si scandalizza per le immagini generate con l’AI in stile Ghibli, si scandalizza per la sola esistenza dell’arte concettuale, dei meme, e dell’idea che tutto può diventare arte se cambia il punto di vista».

Ma meme e arte concettuale non c’entrano niente gli uni con gli altri, e il readymade, proprio reggendosi su un’idea forte, non è nato per essere un meme (oltre che essere riconosciuto come rivoluzione quarant’anni dopo dalle neoavanguardie, tant’è che ogni readymade originale è andato perduto). Avrei potuto rispondere che artisti si nasce, critici si diventa, ma di meme si muore. Conformismo è avere appunto la stessa forma, conformarsi: con l’AI o senza AI non cambia niente. È per questo che essere dei veri artisti è sempre stato difficile, per pochi. È per questo che l’arte moderna nasce con gli Impressionisti, che esposero al Salon de Refusés, rifiutati dal Salon ufficiale. Non volevano essere virali, dovevano cambiare quello che oggi chiameremo il mainstream. Lo stesso, lo dico da scrittore, vale per la scrittura: puoi uniformarti, o puoi, se puoi, creare qualcosa che solo tu puoi fare, e non era prevista né prevedibile, e non si fa creare dal lettore ma crea il suo lettore. Proust non sarebbe stato Proust se avesse pensato di sé altrimenti. Puoi anche dire a ChatGPT di scrivere un testo in stile Proust, ma non sarai Proust né tu né ChatGPT.

Invece, al buon Gianluigi, ho pubblicamente risposto così: «Da una parte ci sono gli scandalizzati, dall’altra gli entusiasti.

Tutti stanno postando tutto in stile Ghibli. Io non vedo niente di artistico se non un giochino divertente, e un giochino per tutti non è niente di importante per nessuno. Non scomoderei Duchamp, al massimo Giochi Preziosi, bro».

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