Nuove terapie per ridurre il rischio di gravi emboli

Per la terapia anticoagulante a lungo termine, si apre una nuova e promettente era. Molecole orali innovative e potenti (tre in arrivo sul mercato italiano, tra cui dabigatran, farmaco inibitore della trombina o IIa, il primo ad essere studiato, sarà anche il primo ad essere commercializzato), agiscono inibendo un singolo fattore della coagulazione. Hanno il vantaggio di ridurre l'incidenza di emorragia endocranica fino al 50-60 per cento e sono in grado di offrire al paziente tutta una serie di benefici pratici che vanno oltre quelli delle terapie tradizionali. Di recente, uno di questi nuovi anticoagulanti, rivaroxaban (inibitore del fattore Xa, 75mila pazienti coinvolti negli studi clinici, già disponibile in Italia per la prevenzione primaria del tromboembolismo venoso), ha ricevuto dal Comitato europeo per i prodotti medicinali per uso umano parere positivo per l'approvazione nella prevenzione dell'ictus, in pazienti con fibrillazione atriale (oltre 6 milioni le persone colpite in Europa, il 10 % della popolazione italiana sopra i 50 anni) e per il trattamento della trombosi venosa profonda.
«Il futuro della terapia anticoagulante appartiene a queste nuove molecole - afferma il dottor Vincenzo Toschi, direttore del servizio di immunoematologia e medicina trasfusionale all'ospedale San Carlo Borromeo di Milano - sia per motivi legati alla loro managevolezza, sia soprattutto perché, a parità di efficacia con le terapie tradizionali, queste molecole sono associate ad una incidenza molto più bassa, del 50-60%, del rischio di sanguinamento intracranico, la complicanza emorragica più grave, spesso fatale e parecchio invalidante a lungo termine». Toschi, ematologo, autore di una ricca pubblicistica, con una équipe di 5 medici, dirige al San Carlo un Centro trombosi di eccellenza che conta 3500 pazienti in carico e un afflusso di circa 180-200 malati al giorno. «Questi farmaci non sono ancora impiegati per il trattamento a lungo termine. «Sono supportati da studi clinici internazionali di enorme portata e rappresentato un avanzamento.

Restano tuttavia alcuni punti da chiarire, sui quali però stiamo già lavorando attivamente, come la verifica dell'aderenza alla terapia e l'identificazione di un antidoto che possa annullare rapidamente l'effetto anticoagulante del farmaco in caso di emorragia o intervento chirurgico».

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