da Manchester
Settimana dopo settimana, giorno dopo giorno, ieri letteralmente ora dopo ora lAmerica ha guardato il montare dellOnda, dalle pianure dellIowa alle montagne del New Hampshire. Un«onda nera», qualcuno avrebbe potuto pensare ancora poco tempo fa, prima che la simpatia, laffetto per Barack Obama si diffondessero in tutti gli strati, le gradazioni del volto politico degli Usa. E poi onda nera fa venire in mente i residui tossici e limacciosi delle falle nelle petroliere, mentre Barack Obama suscita in chiunque lascolti immagini di movimento e di freschezza. Uno tsunami si potrebbe dire per la rapidità e veemenza con cui la sua ascesa (se si riuscisse a immaginare uno tsunami benevolo) ha spazzato via strutture politiche, calcoli di politologi, programmi di strateghi, a cominciare dalla famosa «macchina» del Partito democratico agli ordini, si credeva fino a ieri laltro, dei coniugi Clinton. Adesso Bill rimprovera Hillary per gli errori tattici, di immagine, Hillary si sbalordisce e si commuove per una sorpresa che interpreta come un ripudio immeritato di tutta la sua azione politica, anzi - ha lasciato capire in uno degli ultimi comizi - «di tutta la mia vita». Che le lacrime fossero giustificate lo si è visto di nuovo, ora dopo ora, nella giornata elettorale del New Hampshire, scandita da una rincorsa astuta fra le votazioni, gli exit poll la cui pubblicazione era proibita fino alla chiusura delle urne, e i raffinatissimi «sondaggi mobili» che fotografavano la situazione ora per ora, ogni volta integrando i polls del giorno prima con lesito delle votazioni. E quasi ad ogni passaggio la quota di Obama saliva e quella di Hillary scendeva. Al di là non solo dei pronostici di una settimana prima, ma di molte saggezze convenzionali della vita politica americana. A differenza dei caucus in Iowa, questa primaria era aperta agli indipendenti e inoltre consentiva ai repubblicani di votare, se lo preferivano, nella primaria democratica e viceversa. Come andassero le cose lo si è capito dal primissimo risultato ufficiale. I 17 elettori di Dixville Notch, una piccola stazione sciistica al confine canadese si dividevano fra 13 indipendenti, 3 repubblicani e 1 democratico. Quando hanno aperto le urne Obama ci ha trovato dentro 7 voti, Edwards 2, Richardson 1 (10 democratici contro 7 tra i candidati repubblicani: McCain 4, Romney 2, Giuliani 1). La Clinton, proprio così, zero. È evidente che gli indipendenti si sono buttati quasi tutti dalla stessa parte, come se avessero davvero ascoltato il più interessante e abile fra i messaggi di Obama, accanto alla scontata invocazione al «cambiamento»: linvito a superare le «divisioni di colore», ma tracciandole non tra il bianco e il nero della pelle, ma fra le «tinte» politiche tradizionali dei due partiti, il rosso repubblicano e il blu democratico.
In certi momenti durante lo scrutinio si è avuta la sensazione di un plebiscito, che è vero soprattutto per i giovani e che si rispecchia nelle sorprendenti prese di posizione di politici e commentatori. Allabbraccio - non interamente disinteressato di Edwards a Obama nellultimo dibattito tv - si sono uniti leditoriale del New York Times che vede in Obama un Kennedy sommato a Martin Luther King, il titolo del Boston Herald: «Barack star», la decorazione di «leader carismatico» da parte del più veemente polemista conservatore della Fox News Bill OReilly, le effusioni («grandissima classe») di Peggy Noonan, la donna che scriveva i discorsi di Ronald Reagan. Qualcuno trova ancora «incredibile» che una quasi unanimità si formi attorno a un giovane senatore dalle origini improbabili, estraneo in fondo sia allAmerica bianca sia a quella nera, che ha fatto le scuole in un Paese islamico e che come secondo nome ha Hussein.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.