Per Obama e per molti cittadini americani è una liberazione; per la maggior parte degli agenti della Cia e per l’ala conservatrice del partito repubblicano una follia che finirà per ritorcersi contro gli Stati Uniti. Dopo la pubblicazione dei quattro memorandum sulle tecniche di tortura usate per quattro anni su sospetti terroristi, arrivano le fotografie. Diverse decine, scattate in più carceri. Pare che siano meno scioccanti di quelle di Abu Ghraib, o almeno così assicura una fonte del Pentagono, ma comunque «non belle». In una, a quanto pare, un prigioniero sembra sul punto di subire un abuso sessuale con un manico di scopa.
Nel 2004 la diffusione delle immagini scattate nel carcere iracheno gestito dall’esercito americano, provocò un’ondata di indignazione in tutto il mondo e in particolare in Medio Oriente. Da allora il prestigio degli Stati Uniti ne ha risentito in modo permanente. Che cosa accadrà il 28 maggio quando verranno diffusi gli scatti finora top secret?
In teoria la Casa Bianca avrebbe potuto prendere tempo e rimettere la decisione finale alla Corte Suprema. La vicenda infatti nasce da una causa intentata dall’Associazione libertaria American Civil Liberties Union, che da oltre tre anni reclama la pubblicazione delle foto, invocando il Freedom of Information Act, che sancisce il diritto dell’opinione pubblica a conoscere le attività riservate del governo tranne in circostanze gravi e motivate. L’Amministrazione Bush si era sempre opposta e sebbene per ben due volte i tribunali le avessero dato torto, era intenzionata ad arrivare all’ultimo grado di giudizio.
Ma Barack Obama non è George Bush ed è persuaso che gli Usa potranno riconquistare la supremazia morale nel mondo solo ammettendo i propri errori e dimostrando, con i fatti, di aver cambiato atteggiamento. In politica estera la svolta, sebbene molto discussa, è evidente: la Casa Bianca tratta con tutti, inclusi dittatori o regimi come quello iraniano, talvolta con eccessiva arrendevolezza. E infatti molti si interrogano sull’efficacia di questa strategia. Di solito i negoziati si svolgono partendo da posizioni di forza, non di dichiarata debolezza; ma la nuova Amministrazione è convinta che la catarsi debba essere totale, anche su un tema delicato come quello della tortura. Da qui la decisione di pubblicare le immagini.
«Avremo finalmente le prove che Abu Ghraib, a dispetto di quanto sostenuto dall’Amministrazione Bush, non è stato un’aberrazione, bensì un metodo», ha dichiarato Amrit Singh, un avvocato dell’associazione libertaria. Il Pentagono e la Cia, però, sono inquieti. «Gli Usa non hanno nulla da guadagnare diffondendo gli scatti. Anzi, solo da perdere - afferma Mark M. Lowental, ex analista dell’intelligence -. Molti agenti che hanno eseguito gli ordini non si sentono più protetti e oggi sono demotivati. E si rischia un’altra insurrezione in Medio Oriente».
Finora il comportamento di Obama non è parso coerente. L’altro giorno è emersa la prova che Condoleezza Rice, quando era Consigliere alla Sicurezza nazionale, è stata la prima ad approvare le torture. Il vicepresidente Dick Cheney sapeva, così come il ministro della Difesa Donald Rumsfeld e appare inverosimile che lo stesso Bush fosse all’oscuro. Insomma, ci sarebbero gli elementi per un processo o perlomeno per un’inchiesta parlamentare.
Il presidente, tuttavia, ritiene che non sia necessario né giusto che i responsabili vengano puniti. Insomma, Barack svuota i cassetti, ma protegge i colpevoli. Lo fa per preservare la credibilità della massima istituzione americana; tuttavia almeno metà del governo dissente e la polemica politica cresce di ora in ora.
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