Roma - Un tuffo improvviso negli anni ’70. Un ritorno al passato. «Occupazione», «assemblea», «autogestione», «presidio»: sono queste le parole risuonate ieri sera sul tappeto rosso dell’Auditorium. Dove avrebbero dovuto sfilare Keira Knightley e Eva Mendes in abito da sera, protagoniste di Last Night, il film d’apertura della quinta edizione del Festival Internazionale del Film di Roma. Un migliaio tra attori registi operatori dell’audiovisivo organizzati nel movimento Tutti a casa ha messo in scena un altro film. Girato da registi come Andrea Purgatori, Stefano Rulli, Angelo Barbagallo, i leader della protesta.
Una situazione d’altri tempi. Che rimanda alle contestazioni del ’68 alla Mostra del cinema di Venezia. Da una parte gli agenti della Digos in tenuta antisommossa a controllare lo svolgimento della manifestazione. Dall’altra le autorità e gli invitati alla cerimonia inaugurale che, in smoking o abito di lamè, scivolavano furtivi per gli ingressi laterali «perché il Festival non si ferma e il film sta per iniziare», come annunciava la speaker. Anche un gruppo di studenti di un liceo si affrettava alla visione di La scuola è finita, altro film in concorso.
Non è bastato l’annuncio dell’altro giorno del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Gianni Letta e del ministro per i Beni e le attività culturali Sandro Bondi a placare la contestazione. Non è bastata la decisione di prorogare i sistemi di tax credit e di tax shelter con la defiscalizzazione degli investimenti privati al cinema per ricondurre il confronto nell’ambito di una normale dialettica. L’ala dura aveva già deciso di intonare «lotta dura per la cultura». Di issare striscioni che citavano un po’ retoricamente la Costituzione: «La Repubblica promuove la cultura e la ricerca scientifica». Volti noti e semplici lavoratori dello spettacolo. Carlo Verdone e Paolo Sorrentino, Isabella Ferrari e Marco Bellocchio, Giulio Scarpati e Pietro Valsecchi, Giulio Sermonti e Luca Barbareschi, all’inizio fischiato poi applaudito. Tanti attori di fiction. Una protesta civile, organizzata. Anche con qualche slogan ironico come «Tremonti se non sai come si guadagna con il cinema e la televisione chiedilo a Berlusconi». Ma una protesta istituzionalizzata. Con il presidente della giuria del Festival Sergio Castellitto che ha addirittura letto il manifesto dei contestatori. Costretto però a volgere al passato la sua denuncia e parlando di un «governo che ci aveva messo con le spalle al muro tagliando i soldi del Fondo Unico dello Spettacolo ai minimi storici e quelli per le fiction televisive di un terzo».
Perché, alla fine, ben oltre i problemi dell’industria dello spettacolo e le richieste spesso esagerate dei contestatori (il divieto di ricorrere agli sponsor nella gestione della Casa del cinema, il rifiuto di delocalizzare le produzioni all'estero, dove i costi sono minori) la sensazione è che, ottenute seppur in extremis, le garanzie sul ripristino del Fus al livello del 2009 (407 milioni di euro), il mondo del cinema volesse mandare un segnale politico forte contro l’odiato Berlusconi. Ieri sera si è parlato di sciopero generale dei lavoratori dello spettacolo. Dei ministri, da Bondi a Tremonti, che «devono venire qui a darci delle risposte». Come se le risposte non fossero già state date l’altro giorno a Palazzo Chigi.
Molto dura la replica di Bondi che ha definito la protesta «ingiustificata e faziosa». «Come ministro della cultura ho speso tutte le mie energie per non far mancare le risorse necessarie pur in un momento di crisi drammatica.
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