Olmert e Abu Mazen s’incontrano a sorpresa

Dietro il vertice forti pressioni americane Ma anche le difficoltà del capo di Al Fatah

I due re del dubbio hanno preso tutti in contropiede. L’incerto Mahmoud Abbas, più noto come Abu Mazen, e l’altalenante Ehud Olmert hanno bruciato le tappe e si sono inaspettatamente incontrati ieri pomeriggio nella residenza del premier israeliano a Gerusalemme. Ora tutti si chiedono se quel primo vertice ufficiale dalla nascita del governo Olmert sia un summit di transizione ideato per ridare lustro alla logorata immagine del presidente palestinese o se sia il giro di boa prima della liberazione di Gilad Shalit, il caporale israeliano rapito da Hamas a fine giugno.
Di certo il vertice era nell’aria. Lo sollecitava il re di Giordania Abdallah II. Lo desiderava Washington. Lo chiedeva con insistenza Abbas. Ed Ehud Olmert non poteva tirarsi indietro. Fino a poche ore prima israeliani e palestinesi continuavano a ipotizzare un summit per i primi giorni dell’anno. Resta da capire se l’improvvisa accelerazione sia stata imposta dalle preoccupazione per i venti di guerra civile che spazzano i territori palestinesi o dalla necessità di chiudere in fretta un accordo per il rilascio di Shalit e di un consistente numero di prigionieri palestinesi. Non c’è stata una conferenza stampa al termine del colloquio, ma in serata sono trapelati alcuni punti importanti. I due leader si sono detti concordi sulla volontà di rilanciare il processo di pace e hanno deciso di tornare a incontrarsi più volte. Come gesto di buona volontà Israele ha sbloccato a fini umanitari 100 milioni di dollari di trattenute fiscali dei lavoratori palestinesi nello Stato ebraico e ha promesso di rimuovere alcuni blocchi stradali. È stata anche discussa la questione dei prigionieri palestinesi: Olmert ha detto di volerne liberare molti, ma che nulla potrà essere fatto se prima non sarà rilasciato Shalit. E qualcuno già ipotizza un rilascio di Shalit entro il prossimo venerdì in occasione dell’Id al-Adha, la festività islamica del Sacrificio.
Ma vale anche l’ipotesi di un incontro combinato per risollevare l’immagine di Mahmoud Abbas. Per far capire che il presidente potrà trattare alla pari con gli israeliani solo quando i palestinesi gli garantiranno pieno appoggio rinunciando al fondamentalismo armato di Hamas. In mancanza di un accordo per la liberazione di Shalit gli israeliani non possono del resto offrire nulla di più. Destituito di qualsiasi autorità personale, Abbas si ritrova sballottato tra le intemperanze dei propri servizi di sicurezza e l’inflessibilità fondamentalista. Mentre i capi dei servizi di sicurezza aprono faide sanguinose con i gruppi armati radicali la dirigenza di Hamas, sostenuta e finanziata da Teheran, si muove in maniera sempre più intransigente. Soltanto se riuscirà ad uscire da quella morsa paralizzante Mahmoud Abbas potrà ridiventare un interlocutore credibile.

Per farlo deve dimostrare di saper imporre la propria autorità, garantire il cessate il fuoco e ridimensionare il potere del governo di Ismail Haniyeh. Se non garantirà questi obbiettivi minimi non verrà considerato né un partner affidabile, né un presidente in grado di mantenere le proprie promesse. E dovrà accontentarsi della pelosa carità israeliana.

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