Oltraggio a Piacenza

Oltraggio a Piacenza

L’emergenza è grave. Ben oltre le mie preoccupazioni e il mio sospetto. Ormai da più di un anno ho deciso di non mettere più piede in una città che amo per la sua straordinaria e rara bellezza, quale è Piacenza. I monumenti, le chiese, una grande raccolta d'arte, forse la più importante per l'Ottocento italiano, la Galleria Ricci Oddi, i grandi palazzi, come raramente accade, ancora dotati dei loro arredi, o ripristinati dopo sapienti restauri, i castelli nella campagna circostante, fra i quali spicca il bellissimo castello di Rivalta, la piazza principale dominata dai due monumenti equestri ai Farnese di Francesco Mochi, capolavori del barocco, il collegio Alberoni, impreziosito da un Ecce homo di Antonello da Messina, rendono Piacenza una città rara e di intatta, misteriosa bellezza. Intatta fino a pochi anni fa, quando io la frequentavo con assiduità nel periodo dell'esercizio di Valeria del Giardino dei melograni, una meravigliosa locanda con quattro stanze e una cucina luminosa nella notte. Poi è finita l'epoca di Valeria e la città ha perso per il pellegrino un punto di riferimento sicuro. E alla cosa pubblica, all'amministrazione comunale, è arrivato un sindaco, che non soltanto ha precluso alla città ogni spazio culturale e sospeso ogni iniziativa che desse occasioni per tornare a vedere mostre e spettacoli (quando non fossero l'indecente concerto - per insufficiente qualità musicale - in occasione del decennale di Al Jazeera), ma ha deciso di manomettere gravemente e programmaticamente monumenti e luoghi insigni.
Ha iniziato con Villa Serena, la più bella architettura del Settecento a Piacenza, salvata negli anni da abusivismi e da costruzioni indecorose nel suo ambito di rispetto. L'infame progetto, osteggiato da Italia Nostra e dal Fai, denunciato al ministro Buttiglione, era quello, poi realizzato, di far passare una Bretella di tangenziale davanti alla Villa. Vane sono state le proteste, non soltanto mie, ma anche di personalità come Giulia Maria Crespi e Anna Maria Matteucci, la studiosa che ha dedicato una intera vita all'architettura del Settecento emiliano. Tutto inutile: il sindaco voleva compiere fino in fondo la sua impresa scellerata. Così, perduta la battaglia, ho deciso di rinunciare ai piaceri di Piacenza, e alla frequentazione dei tanti amici che la abitano, fino a che non se ne fosse andato il primo (per così dire) cittadino.
Ma qualche notte fa, attratto dai quadri di Rocco Normanno, ultimo caravaggesco in vesti contemporanee, esposti alla Casa dell'Arte al Teatro, mi sono spinto nel centro dell'amata città. Qui, l'amico Caprara mi ha tentato non solo a fare un sopralluogo alla mostruosa Bretella, ma anche a una serie di interventi in altri punti toccati dalla «voluttà» del sindaco. Non potevo credere ai miei occhi davanti a una serie di rotonde che sembrano concepite per uno scherzo. Ben oltre ogni immaginazione, Piacenza è messa a ferro e fuoco nella indifferenza di Soprintendenti e nel silenzio forzato di cittadini umiliati. Sulla Via Emilia, l'antica via Francigena, l'accesso alla città sembra impedito, con una incredibile interruzione del percorso dello sguardo verso il Centro, da una specie di scultura, una vera e propria barriera di acciaio a due ante, totalmente inespressiva e sorda. Difficile intenderne il significato e la ragione, se non quelli di nascondere la città, sporcarla. Poco lontano un buco foderato di cemento annuncia una fontana del tutto inutile, giusto per buttare soldi pubblici, giustificando l'aumento delle tasse. Ma l'orrore non è finito. In un'altra rotonda, in direzione di Gossolengo, sopra una collinetta artificiale, è posto in posizione dominante un aratro verniciato di bianco. Gli automobilisti lo osservano sconcertati.
Nel punto di confluenza tra Via XXI Aprile e Via Campagna, vi è un altro monumento all'insensatezza; dentro alla solita rotonda quattro massi di formato diverso, affondati nella pozzanghera di una fontana con cattiva circolazione di acqua sporca, rappresentano un bombardamento delle mura, allegoria delle intenzioni del sindaco. Jack, che è con me, osserva sconsolato, non trovando giustificazioni, e esclama: «È una cosa che fa pena solo a guardarla».
La situazione, in realtà, è molto grave. Piacenza è abbandonata, ed è nelle mani di un sindaco delirante, come una bambina indifesa nelle mani di Barbablù. L'omertà non può continuare, e mi chiedo perché non reagiscano, pretendendo una verifica dal ministro Rutelli, persone avvedute e consapevoli come Pierluigi Bersani (che però già fu complice della mostruosa Bretella), Ferdinando Arisi, illustre storico dell'Arte e già direttore dei Musei cittadini, Giacomo Vaciago, Donatella Ronconi, proprietaria del giornale La Libertà, il pittore Armodio, e anche persone sensibili all'arte e antagoniste al potere burocratico, come Corrado Sforza Fogliani e Orazio Zanardi Landi. E Armani? Non posso credere che essi abbiano accettato senza reagire lo scandaloso monumento sulla Via Emilia. Ed è vero che non c'è più la tutela del Soprintendente Elio Garzillo, ma non possono tacere Soprintendenti come Luciano Serchia e Maddalena Ragni. Ci sono limiti oltre i quali non è consentito andare; e ciò che viene fatto a Piacenza non è neppure frutto della speculazione, che potrebbe farne capire l'orrore, ma di un desiderio di distruzione, di diffusione del brutto senza apparente giustificazione.
È un vero e proprio regime, che mortifica la città di Piacenza, contando sul silenzio e sulla discrezione dei cittadini e degli organi di informazione.

Le opere pubbliche sembrano concepite da malati di mente e il sindaco è il compiaciuto direttore di un manicomio. Mi si dirà: «Ma i manicomi non ci son più!». È vero, ma i matti ci sono ancora e sono in libertà. La Libertà reagirà?

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