Oltre la cucina da chef c'è sempre pane e salame

Dal Varzi alla Finocchiona: sono italiani ben 14 tipi eccellenti in tutta Europa Dove si fanno notare solo l'ungherese e il portoghese

Maurizio Bertera

Anche un artista può affettare un salame. Anzi se è un grande artista come Andy Warhol a cui si deve l'aforisma dovrebbe saperlo fare meglio dei comuni mortali che parlano 24 ore al giorno di cibo bio e sognano di vincere Masterchef Italia. Per fortuna, gli strali dei dietologi verso i salumi e gli allarmi (a volte giusti, in questo caso) dei nutrizionisti non hanno tolto neppure ai «fissati» la passione per il salame. Trasversale più di altri cibi: dai raffinati che se lo gustano nei pic-nic all'operaio in pausa pranzo, dalla prima colazione (non scherziamo) allo spuntino notturno, dai tradizionalisti della michetta sino ai migliori cuochi del Paese. Lasciando a Carlo Cracco il ruolo di aedo della Sopressa e non solo (pagina a fianco), ricordiamo che Davide Oldani che ha nel pane e salame una delle sue madeleine ha persino firmato un salame della collezione FooD di Salumi Pasini: il Driss realizzato con impasto di carni suine e bovine selezionate, arricchite con spezie come il pepe nero pestato a mano e insaccato in quel budello dritto che gli dà la forma tipica e il nome. È la conferma che le fette grandi, medie e piccole stuzzicano non solo l'appetito ma anche la fantasia dei «norcini» e sono apprezzate dai consumatori stranieri. Prova ne sia che i salami hanno un discreto peso nel momento d'oro dei salumi italiani all'estero: secondo le ultime elaborazioni di Assica (l'Associazione dei produttori di carni e salumi), nel 2015, le esportazioni sono cresciute del 10,7% nel volume e del 7,1% nel fatturato. Bravi gli italici produttori che in effetti stanno facendo un gran lavoro sulla qualità e sulla digeribilità: senza retorica o sciovinismo, i nostri salami sono «alta cucina» rispetto a quanto si assaggia normalmente in giro per il Vecchio Continente. In definitiva, solo un buon Chorizo spagnolo/portoghese e il Salame Ungherese meritano attenzione (e si trovano anche da noi) mentre possiamo vantare tredici tra DOP e IGP a livello europeo, orgoglio di aree ristrette come di intere province o regioni: Brianza, Cremona, d'oca di Mortara (Pavia), di Varzi (Oltrepò Pavese), Felino (Parma), Piacentino, Piemonte, S. Angelo di Brolo (Messina), Finocchiona (Toscana). Alla Cacciatora (ebbene sì, i «salamini» hanno la loro DOP), Soppressata di Calabria, Sopressa Vicentina, Ciauscolo (Marche). Ci sarebbe anche la Salama da Sugo, tipicità ferrarese, che però va cotta e mangiata al cucchiaio. Se questo è l'elenco di quelli riconosciuti, allargando il campo a quelli tradizionali, c'è da impazzire dal godimento. Buttiamo lì qualche nome: lo Strolghino emiliano e la Corallina simbolo dell'arte norcina umbra, i salami di cinghiale (in Maremma, il top) e di Cinta senese, quello genovese di Sant'Olcese o di suino nero dei Nebrodi (ricavato da maiali allo stato brado), la celebre n'Duja calabrese (piccante, da spalmare) e il salame d'asino piemontese. Un must per capirne di più resta Salumi d'Italia di Slow Food: è qui che si vede come al di là del ciclo di lavorazione pressoché identico (triturazione di carne e grasso; miscelazione con sale, aromi, spezie e altri ingredienti; insaccamento dell'impasto; stagionatura), un salame è diverso da un altro per le dimensioni, la grana, la tipicità dell'impasto (dove entra di tutto, dal finocchietto al vino, per non parlare del tipo di aglio) e i tempi di invecchiamento, in location che vanno talvolta oltre la classica cantina. Un mondo in pieno sviluppo, dove si ritrovano prodotti dati in via d'estinzione e perpetrati in piccole produzioni, strepitose. Come il Salame Gentile, patrimonio emiliano, che nel Medioevo era considerato «il regalo» dei feudatari ai grandi nobili: tra Parma e Ferrara, vi diranno che se il culatello è il re dei salumi, questo è il principe visto l'impasto equilibrato con carni di prima scelta, la lavorazione raffinata e i tre mesi di stagionatura che lo rendono morbido e fragrante.

Gustandolo, è cosa buona e giusta elevare lodi al caro vecchio maiale, considerato divinità da gourmet come Gianni Mura. «Dare del porco a uno è un complimento, pensando alle bontà che ci regala» ripete sempre il giornalista-scrittore. Forse è il caso di rivalutare pure il concetto di «faccia da salame». Averla, averla.

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