Forse l’Iowa metterà Barack Obama nei libri di Storia,maper ora ha messo Hillary Clinton al centro della cronaca politica. Una posizione che di solito le piace, ma non nell’accezione odierna: protagonista sì, ma di una crisi. Il senatore Clinton di New York ha incassato nella gelida prateria un doppio colpo che l’ha messa non al tappeto ma nell’angolo. È lei adesso che deve recuperare. È finita la stagione della noncurante superiorità. I risultati del caucus dell’Iowa parlano chiaro, soprattutto in casa democratica. I repubblicani hanno più tempo: possono permettersi di cambiare vincitore di qui a martedì, dall’Iowa al New Hampshire, dove nessuno si aspetta che Mike Huckabee, il Don Camillo tutto Bibbia, chitarra e ginnastica, possa ripetere la vittoria a sorpresa, dovuta alla eccezionale concentrazione di «evangelici» nell’Iowa.
Ma fra i democratici se Barack Obama dovesse nel New Hampshire fare il bis, si delineerebbe davvero una svolta storica. I protagonisti l’hanno capito, primo fra tutti almeno un Clinton, Bill, che aveva previsto le difficoltà in cui la moglie sarebbe andata incontro e le aveva consigliato - forse troppo tardi - di cambiare strategia e tattica. Hillary aveva contato quasi solo su un fattore e lo aveva esibito in lunghi mesi di campagna elettorale: la propria ineluttabilità. Dava per scontato che comunque sarebbe stata lei la prescelta e quindi riteneva di potersi permettere tutte quelle «libertà» negate a coloro che debbono battersi ogni giorno per strappare la nomination del loro partito.
Si comportava come se avesse già ottenuto l’investitura e le primarie non fossero che una specie di gioco di consolazione per i non predestinati. Parlava dall’alto, si era già spostata al centro, si rivolgeva agli indipendenti e ai repubblicani e dava per scontati i suoi compagni di partito. Poi è arrivato l’Iowa e Hillary non solo non ha vinto, ma è perfino arrivata terza. Obama l’ha infilzata, Edwards è passato sul suo corpo. E fra tre giorni l’attende il NewHampshire, un nuovo duello con il maggior numero di indipendenti attratti dall’avversario principale. Adesso deve cambiare strategia dal momento che arrendersi non è né nella sua natura né nella realtà delle cose. Deve togliersi il manto e scendere nell’arena come gli altri, con gli altri. Può ancora vincere: la «macchina» del partito democratico le è ancora fedele. Lo si è visto anche nell’Iowa, dove gli anziani, i frequentatori assidui del partito, hanno votato per lei. Dai 60anni in su essa ha doppiato Obama. Ma quelli fra i 30 e i 60 hanno preferito il candidato di pelle scura e i giovani, quelli al di sotto dei 30 anni, gli hanno dato il quintuplo dei voti lasciati a Hillary.
La «macchina» ha tenuto ma non è bastata anche perché l’affluenza al voto è stata molto più alta del previsto e questo vuol dire che si spostano perfino i ventenni, di solito i più indifferenti ai riti elettorali. L’America democratica (ma anche, contemporaneamente, quella repubblicana) ha dimostrato di preferire i candidati che promettono cambiamento a quelli che sono pronti soprattutto a gestire la continuità. Nel Partito repubblicano qualche crepa si è aperta nel blocco storico forgiato una trentina di anni fa da Ronald Reagan fra il mondo dei business e quello delle chiese, fra Wall Street e i predicatori fondamentalisti.
Nell’Iowa si sono contati, i secondi sono più numerosi, ha vinto il candidato che più si era distanziato dalla politica di Bush.
Ciò ha reso ancora più difficile la posizione di Hillary che sulla continuità ha puntato quasi tutte le proprie carte e che si è presentata come colei che meglio di chiunque altro può garantire un passaggio graduale indolore fra la guida della destra repubblicana e quella di un centro democratico moderato e responsabile. Ma gli elettori del suo partito, almeno in questo momento e non solo nell’Iowa, sembrano chiedere proprio il contrario: un segno di «discontinuità » che chiamano «conquista del futuro».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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