«Per ora non c’è una via d’uscita politica»

«Finché Hezbollah non sarà disarmata, la guerra è l’unica soluzione. Non resteremo in Libano un giorno più del necessario»

Gian Micalessin

«Guardi, se ci penso ho la pelle d’oca, da soldato ho fatto tre guerre, ma non vorrei essere al posto di Ehud Olmert. Allargare le operazioni può costarci centinaia di vite. Per nessun israeliano è facile accettarlo. Tanto meno deciderlo. In queste quattro settimane spesso ho pianto da solo davanti alla televisione. Israele è una piccola nazione, ci conosciamo tutti, i morti di una famiglia sono i morti di tutti noi. Olmert ha dovuto assumersi la responsabilità di decidere, perché siamo di fronte a una minaccia strategica. La popolazione sta con lui per rispondere a una minaccia che mette a repentaglio la nostra sopravvivenza».
L’ambasciatore Gideon Meir, 59enne veterano delle più importanti sedi diplomatiche europee, tra qualche mese arriverà in Italia, sarà il nuovo rappresentante diplomatico d’Israele nel nostro Paese. In queste ore è ancora il vice direttore generale dell’informazione al ministero degli Esteri. E per qualche settimana ci tiene a restarlo. Fino a quando non avrà trovato casa a Roma. Fino a quando il suo insegnante d’italiano non gli avrà spiegato come districarsi fra i trabocchetti e gli inganni della nostra grammatica. «La pronuncia non è difficile, amo l’opera, non vedo l’ora di andare alla Scala o all’Arena di Verona, di riuscire a cantare sulla musica di Verdi, e perché no di fare il tifo nei vostri stadi. Ma la vostra grammatica, per ora, mi fa impazzire».
Così in queste ore difficili l’ambasciatore Meir preferisce concentrarsi sulla politica israeliana, spiegare ai lettori del Giornale il punto di vista di un diplomatico che considera «esistenziale» la battaglia combattuta sul fronte libanese.
«Pensa che Londra e Parigi rimarrebbero a guardare se la loro popolazione fosse costretta da un mese a vivere nei rifugi? Siamo l’unica nazione al mondo minacciata di cancellazione. Il presidente iraniano dice che non c’è spazio per lo Stato ebraico. Il consenso della nostra opinione pubblica, dipende da questo. Questa per noi non è la guerra a Hezbollah, questa è la guerra per difenderci dall’Iran, da una nazione che usa un’organizzazione terroristica in subappalto per minacciarci».
Israele sta trascurando l’iniziativa diplomatica. Non esiste una vostra proposta politica o diplomatica per mettere fine al conflitto.
«Questa guerra non era prevista. Siamo stati provocati, attaccati sul nostro territorio da un’organizzazione terroristica che lavora in appalto per l’Iran. Abbiamo dovuto assumerci la responsabilità di una scelta strategica. Non potevamo stare a guardare mentre il loro potenziale bellico cresceva. Abbiamo dovuto sorprendere Nasrallah, scombinare i suoi piani con una risposta inattesa. La nostra diplomazia ha dovuto difendere la legittimità della nostra azione e la nostra immagine. Non esiste una via d’uscita politica fino a quando la guerra non cambia la situazione sul terreno. La nostra proposta politica si chiama risoluzione 1559, è la risoluzione votata dall’Onu, voluta dalla comunità internazionale. Non esisterà un cessate il fuoco sostenibile fino a quando Hezbollah non verrà smantellato, messo nell’impossibilità di lanciare missili contro di noi. Non potremo fermarci fino a quando non riavremo i nostri due soldati, fino a quando lo status quo del Libano non sarà sotto il controllo di una forza internazionale».
L’opinione pubblica europea vi rimprovera gli oltre mille morti libanesi. Sono dieci volte i vostri.
«I numeri contano fino a un certo punto. È la qualità della minaccia che conta. Qui c’è una democrazia costretta a vivere nei rifugi. Qui viene minacciata l’esistenza di un Paese. Colpire i civili è contro il nostro codice etico, ma Hezbollah li usa come scudi umani, vieta loro di abbandonare i villaggi che noi chiediamo di evacuare. Se un’organizzazione usa le case dei civili per nascondere i propri missili c’è il chiaro rischio che le bombe israeliane possano colpirle. La morale è la nostra forza, ma è anche la nostra debolezza. Noi crediamo nella vita, e non nella morte. Siamo una società moralmente forte, ma debole di fronte a un nemico indifferente alla vita dei civili. Se fossimo come loro avremmo finito la guerra in due settimane radendo al suolo tutto il Libano».
Da oggi potete invadere il Libano fino al Litani, ma cosa farete il giorno dopo in assenza di un piano politico?
«Il piano è legato allo schieramento della forza internazionale e spetta alla diplomazia internazionale. Non vogliamo restare in Libano un giorno più del necessario. Ci vuole una forza in grado di realizzare la risoluzione 1559 e garantire la sovranità di Beirut sul sud. Comunque migliori saranno i risultati del nostro esercito, tanto più facile sarà il compito del contingente internazionale».
La proposta libanese di mandare 15mila soldati nel sud vi ha un po’ spiazzato politicamente.


«Pensa che il dispiegamento di un esercito debole e diviso sia una soluzione? Il disarmo di Hezbollah è l’unica soluzione per liberare il Libano dal ricatto dell’Iran. Se il mondo vuole veramente un Libano libero e democratico non può accontentarsi di 15mila soldati libanesi».

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