Ora Rutelli vuol fare il regista del cinema italiano

Dopo la battaglia su Cinecittà si allarga lo scontro nell’Unione sullo spettacolo

Michele Anselmi

da Roma

In molti se ne sono accorti. C’è una strategia dietro l’attivismo del ministro Rutelli sui temi del cinema. Morbido o duro che sia, lo spoil-system applicato a Cinecittà Holding (revoca dei dirigenti scelti sei mesi fa da Buttiglione, commissariamento per un mese, poi nuove nomine) disegna un progetto ambizioso, a suo modo politico e culturale, che potremmo sintetizzare così: «Togliamo alla sinistra l’esclusiva sul cinema». A sinistra se ne sono accorti, eccome, tanto è vero che sia i Ds sia Rifondazione patiscono con sempre maggiore insofferenza l’iniziativa rutelliana. Basta sfogliare l’Unità. Nel quadro di un’inchiesta sulla «questione morale» che minerebbe, dopo la Rai e il calcio, anche le faccende cinematografiche, si poteva leggere: «C’è comunque grande preoccupazione per il peso assunto dalla Margherita». E subito dopo il regista David Grieco, già membro autorevole di una commissione ministeriale ai tempi della Melandri, accusava senza tanti giri di parole: «È noto che la Margherita stia occupando tutti i posti possibili in questo settore. E c’è motivo d’essere preoccupati, poiché il cinema è stato sempre osteggiato dagli ambienti cattolici».
In realtà, la polemica non si configura in questi termini. Nessuno, a sinistra, teme per ora nuove insorgenze censorie di antica memoria andreottiana. Si paventa, invece, un abile insediamento della Margherita, attraverso i suoi uomini, nei gangli decisivi di quel che resta del Gruppo pubblico cinematografico. A dirla tutta, neanche Cinecittà Holding, con le sue consociate, a partire dal Luce, è più così tanto decisiva. Il cinema che piace e conta, capace di intrecciare qualità d’autore e successo popolare, da anni non passa per le stanze di via Tuscolana e neanche per quelle di via del Collegio romano, sede del ministero. E però Cinecittà Holding, con i suoi 23-24 milioni d’euro all’anno di budget, resta un simbolo, un fortino da espugnare, a colpi di «mission»: l’ha fatto il centrodestra, lo sta facendo il centrosinistra.
Bisogna tenere a mente una data: la cine-riscossa della Margherita parte, ufficialmente, il 26 ottobre scorso, quando si svolse un reclamizzatissimo (manifesti a tappeto in tutta Roma) convegno intitolato «Il cinema oltre il cinema: sogno, tecnologia, industria». Fu lo stesso Rutelli, reduce da un intervento chirurgico alla spalla, a concluderlo, di fronte a una platea fitta di produttori e cineasti (più produttori che cineasti, in verità). In quell’occasione, la Margherita presentò i suoi esperti in materia. Cioè il deputato Andrea Colasio, autore di un organico disegno di legge, il manager Giuseppe Carducci, già commissario ministeriale per i Fondi di garanzia e attuale responsabile spettacoli del partito, il professore bocconiano Severino Salvemini, il critico e giornalista del Corriere Paolo Mereghetti. Parola d’ordine, molto applaudita: «Coniugare creatività e cultura d’impresa».
E però quando Colasio ha messo nero su bianco le sue proposte, parlando di marketing, di controllo rigoroso sui fondi erogati al cinema d’autore, soprattutto di una «tassa di scopo» che dovrebbe drenare denaro da tutta la filiera cinematografica (sala, tv, pay-tv, home-video) in modo da tirare su tra i 500 e i 600 milioni di euro, a sinistra sono cominciati i mal di pancia. Gli autori legati a Rifondazione hanno tuonato: «Il progetto Colasio? Meglio ignorarlo. Porrebbe una censura preventiva mai vista prima e amministrerebbe l’esistente, peggiorandolo».
E i Ds? Spiega un autorevole simpatizzante della Margherita che preferisce non apparire: «Sono fuori gioco da tempo, non hanno una strategia. Dopo Veltroni, l’unico che ci capisce qualcosa è Goffredo Bettini. Infatti ha smosso mari e monti per diventare ministro ai Beni culturali, restando fregato». Già, Bettini: il senatore diessino, in gioventù uno dei «Pasolini boys» della Fgci, oggi pilota l’Auditorium della musica e la nascente Festa del cinema a Roma. Con lui a via del Collegio romano, il partito di Fassino avrebbe forse rinverdito i fasti veltroniani. Ma senza...
Resta il fatto che la Margherita è vista con un certo sospetto dal variegato mondo del cinema. Il quale ha già mandato a dire, alla voce nomine: «Che i metodi siano quelli della trasparenza e dell’ascolto». Ovvero, consultateci prima di prendere decisioni. È quanto, alla fine, ha fatto Rutelli. Lui voleva subito piazzare l’amico avvocato Alessandro Battisti alla testa di Cinecittà Holding.

Lo farà tra un mese, dopo «ampia consultazione con le categorie». E magari, nel frattempo, capirà se può raddoppiare nominando Carducci amministratore delegato o se dovrà arrendersi alla protesta strisciante della sinistra cinematografica.

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