Ora gli scrittori atei spiegano Cristo e i santi

Dalla Parrella a Veronesi, si moltiplicano i libri con suore, miracoli e riletture del Vangelo La tendenza lanciata da Carrère

Ora gli scrittori atei spiegano Cristo e i santi

C'era una volta l'usignolo della Chiesa cattolica ed era Pier Paolo Pasolini che così intitolò un suo libro di poesie del 1958, identificandosi un po' pateticamente e un po' francescanamente col volatile che canta la bellezza del Creato. Il tempo passa, gli scrittori cambiano e pure gli uccelli: oggi ci sono i cuculi della Chiesa cattolica. Inventandomi ornitologo letterario li ho identificati in Daria Bignardi, Valeria Parrella, Alcide Pierantozzi e Sandro Veronesi, per limitarsi all'ultima covata. I cuculi, si sa, sono uccellacci prepotenti, parassiti dei nidi altrui, soliti deporre le uova tra fuscelli che non hanno contribuito a raccogliere. Analogamente i cuculi della Chiesa cattolica sfruttano la fede di generazioni di cristiani, decine e decine di generazioni di devoti senza i quali i loro libri, che devoti non sono, nemmeno sarebbero nati.

Inizio con Daria Bignardi perché sono uomo d'ordine e l'ordine alfabetico è inoppugnabile. Santa degli impossibili (Mondadori) è un libro grazie a Dio breve che si apre con la citazione di Lucetta Scaraffia, storica indubbiamente cattolica e collaboratrice dell' Osservatore Romano . Un perfetto caso di parassitismo religioso siccome il libro bignardesco di cattolico ha solo titolo ed esergo, ottimi per acchiappare allodole come certi specchietti. Protagonista è una giornalista milanese, una mezza gattara che ascolta Radio Popolare (molte giornaliste milanesi potrebbero riconoscersi nell'identikit) e sopravvive a un grave incidente stradale. Secondo una compagna di stanza potrebbe esserci lo zampino di Santa Rita, che fa miracoli anche a chi non glieli chiede. Ammesso che miracolo sia, il dettaglio non sembra interessare a nessuno, nemmeno alla guarita che riprende a vivere come se niente fosse: conversione questa sconosciuta. Neanche la Bignardi si sposta di un solo millimetro, resta allineata e coperta, ostentatamente insensibile, bloccata nella sua ormai annosa militanza nichilista e omosessualista. Arrivato alla conclusione, pagina 109, ho perfino rimpianto Emmanuel Carrère: frivolo e vanesio ma realmente, personalmente interessato al tema religioso messo al centro del suo ultimo libro, Il Regno (Adelphi).

Proseguo con Valeria Parrella. Finalmente una scrittrice, laddove la Bignardi è molto evidentemente una conduttrice televisiva che scrive libri. La leggo dai tempi dell'esordio, Mosca più balena (minimumfax, 2003), e in questi anni sono sempre stato diviso fra piacere del testo e dispiacere per la testa che si ritrova: è comunista (candidata con la lista Tsipras) e femminista (fra le viriloidi del movimento «Se non ora quando?»). Troppa importanza all'amore (Einaudi) si compone di otto racconti il secondo dei quali parassitizza un intero monastero di clausura. Comincia a farlo dall'esergo, Matteo 21,31. Da ornitologo letterario ho scoperto che molti cuculi della Chiesa cattolica hanno sviluppato questa tecnica: usano l'epigrafe per accreditarsi presso i propri ospiti e quindi sfruttarli senza che questi se ne accorgano. Metti il Vangelo all'inizio e poi li fotti come vuoi, poi puoi raccontare di una madre badessa più sincretista che cristiana, più superba che umile, una saccente capace di spiegare la religione al vescovo: Madre Valeria? A un certo punto, stranamente, la badessa si mette a pregare, però la sua è una preghiera strana, velenosa, diretta a conoscere «non ciò che è giusto secondo la legge degli uomini o quella del Vangelo, ma la strada giusta». Insinuando il dubbio che il Vangelo tanto citato, e tanto utile per introdursi nel nido altrui, possa essere la strada sbagliata. Così mi viene un dubbio: non è che sotto le penne del cuculo si nascondono le squame del serpente? Mi stavo dimenticando di dire che l'anno scorso Valeria Parrella si è sposata. Dove? Ovviamente in municipio.

Con Pierantozzi entriamo nel campo del risibile. Tutte le strade portano a noi (Laterza) scrocca un passaggio all'arcivescovo Sigerico che nel Medio Evo se la fece a piedi da Canterbury a Roma, ignaro che dieci secoli dopo il suo diario di viaggio sarebbe stato nido da saccheggiare per tutti i cuculi svolazzanti sulla via Francigena. Diversamente dalla Parrella, Pierantozzi non si fa mai nemmeno pensieroso, per lui il fatto religioso non esiste, non è mai esistito e con tutta probabilità mai esisterà: il suo è un pellegrinaggio totalmente e tranquillamente ateo, e pazienza se risulta una contraddizione in termini. È un cuculo strafottente, dedito all'irrisione dei pellegrini veri, che rischia qualche vescica solo perché il viaggio a piedi va di moda e garantisce la pubblicazione. Uno dei libri più vuoti che mi sia capitato di leggere negli ultimi anni.

Concludo con Veronesi che merita un giudizio più articolato. Perché ha studiato, si è impegnato, e si accosta al nido altrui quasi chiedendo permesso. Cuculo sì, ma con garbo. Mentre i libri dei conspecifici li sconsiglio vivamente, Non dirlo (Bompiani) lo sconsiglio moderatamente. Anzi: a qualche piccola categoria di lettori la sua disquisizione sul Vangelo di Marco, stampata forse non casualmente in formato breviario, potrebbe perfino risultare utile, e penso a sceneggiatori e studenti di scuole di scrittura. Quando Veronesi e Carrère si sono incontrati l'inserto culturale del Corriere ne ha ricavato due pagine che sembravano un seminario della Scuola Holden: l'italiano a dire che Marco è un gran sceneggiatore, il francese a dire che Luca è un gran romanziere, ed entrambi a fornire motivazioni tecniche. Non dirlo è un molto ben scritto trattato di narratologia. «Pur non conoscendo né il greco né l'aramaico, pur non essendo un biblista né un teologo, e nemmeno un credente» Veronesi è salito in groppa a San Marco in quanto autore di «un testo letteralmente entusiasmante».

Affermazione che si autosmentisce: lo scrittore pratese incredulo era e incredulo è rimasto, anziché una dimostrazione di entusiasmo Non dirlo è un esercizio di intellettualismo. Che col cristianesimo reale, fatto di incarnazione e di croce, di sacramenti, riti, canti, esperienze, comunità, preghiera, purtroppo non c'entra niente.

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