Gian Micalessin
Il ballo sullorlo del vulcano è iniziato. Ad aprire le danze ci pensa Hasan Nasrallah chiamando i militanti di Hezbollah a invadere il centro di Beirut. Dalle tre di questo pomeriggio, salvo contrordini, il premier Fouad Siniora e i suoi ministri barricati nel palazzo del Gran Serraglio per timore dattentati saranno assediati dalla marea umana di Hezbollah. «Il governo è incompetente, non mantiene le promesse e non raggiunge risultati», accusa il tribuno sciita annunciando la prova di forza dagli schermi di Al Manar, la televisione del Partito di Dio.
Per il governo di Fouad Siniora e per i sostenitori della coalizione antisiriana è solo un tentativo di colpo di Stato contro un governo regolarmente eletto. In un drammatico messaggio televisivo ai libanesi il premier dice che cè il pericolo di un colpo di Stato, ricorda che «solo il Parlamento può far cadere il governo». Aggiunge: «Lindipendenza del Libano è minacciata e il sistema democratico è in pericolo. Non consentiremo un attentato alla democrazia e alle sue fondamenta, respingiamo la logica degli Stati dentro lo Stato».
Le parole di Siniora sono un crescendo: «Ci troviamo di fronte a giorni decisivi per il nostro Paese. Non abbiate paura e non disperate. Abbiamo una giusta causa. Le minacce non ci faranno recedere. Le manovre e gli ultimatum non ci terrorizzeranno».
«Chiunque scenderà in piazza contribuirà a scavare la fossa del Libano», denuncia in un appello Joice Gemayel, madre del ministro dellindustria Pierre Gemayel accoppato una decina di giorni fa.
Nasrallah di certo non se ne cura. Vuole portare avanti la sua sfida. Vuole mandare a casa chi rifiuta i suoi diktat. Vuole abbattere il governo germogliato dalla rabbia per lassassinio dellex premier Rafik Hariri e dalle prime elezioni sfuggite al controllo dei signori di Damasco. Per giustificare una «roulette russa» che rischia di riportare il Paese alla guerra civile, il segretario generale di Hezbollah usa, ovviamente, altri argomenti. Quelli concordati con la Siria, con il presidente Emile Lahoud, con il capo di Amal e presidente del Parlamento Nabih Berri, con il generale cristiano Michel Aoun e gli altri comprimari della «mobilitazione» decisa sullasse Damasco-Teheran.
Per giustificare il braccio di ferro Hezbollah sfodera il solito repertorio. Accusa lesecutivo di esser debole e di non avere saputo difendere il Paese dagli attacchi israeliani. Poco importa che la guerra della scorsa estate sia stata la conseguenza del rapimento di due militari israeliani orchestrato da Hezbollah. Poco importa che a rendere ancora più traballante il governo contribuiscano le dimissioni di sei ministri filosiriani e lassassinio di Pierre Gemayel. La verità è ormai irrilevante. Non interessa né a Nasrallah né ai suoi dimostranti. Ormai contano solo i giochi di potere e gli interessi siriani.
Nasrallah vuole controllare il governo e il Paese. Damasco vuole bloccare il processo internazionale sullassassinio Hariri e riacquistare il dominio di una nazione considerata alla stregua di una provincia. Il generale cristiano Aoun inebriato dallambizione senile sogna la presidenza promessagli da Nasrallah e dallantico nemico siriano.
A parole Nasrallah e alleati giurano di non voler ricorrere alla violenza. «Chiediamo ai libanesi - ripete lopposizione - di riunirsi pacificamente per protestare contro lesclusione dalla politica, esigere un governo di unità nazionale e decidere una nuova legge elettorale».
A rendere più insidiosa la partita del Gran Serraglio contribuiscono i dubbi sullarbitro. Le incognite sulle reali intenzioni dellesercito e dei suoi comandanti. Da ieri la piazzetta centrale di Beirut e il suo quadrilatero sono una piazza darmi con reticolati e militari in assetto da guerra.
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