Ospedale di Villa Scassi nel caos: il Pronto Soccorso diventa corsia

(...) Ma, soprattutto, quel giorno, lungo i corridoi e nelle salette laterali, e persino nell’astanteria - miracolo della politica! -, neanche una barella occupata, neanche un degente in attesa di essere curato e assistito. Intorno ai due ospiti illustri c’erano invece medici e infermieri in camice bianco inamidato, col sorriso finalmente stampato sulle labbra. Di fronte a loro, Burlando e Canini, tutti e due felici e contenti. L’ordine regnava sovrano. Roba da film. Cioè, da campagna elettorale.
Ma il paradiso è durato poco. Lo racconta un medico che ha una lunga esperienza sul posto, ma non si è ancora rassegnato ad arrendersi: «Dal giorno dopo la gradita visita del tandem - spiega -, per Villa Scassi sono ricominciati i problemi. I soliti problemi». Che significa, come è successo ancora ieri mattina: 33 pazienti in contemporanea sulle barelle, con patologie di varia gravità, dalla caviglia slogata all’ictus, mentre medici e infermieri sono impegnati allo spasimo per garantire l’assistenza.
La chiamano: mancanza cronica di letti. L’ospedale di Sampierdarena ne ha grosso modo trecento, per un bacino che raccoglie ammalati e infortunati da Cogoleto, a ponente, a Isola del Cantone da nord, fino ai limiti dell’«area di competenza» del Galliera - che però di letti nel ha più del doppio - per non parlare del gigante-San Martino. Succede allora che medici e infermieri debbano affannarsi per assolvere al compito che ci si aspetta, la cura, ma anche per quello che non ci si aspetta, e che non spetterebbe a loro: le pratiche burocratiche, i documenti, le scartoffie, e in qualche caso anche il trasferimento dei barellati, con tanto di spinta delle lettighe, a forza di braccia.
E sì perché, dopo che il medico è intervenuto - con una qualità professionale e un’abnegazione mai messa in dubbio, nonostante tutto - ecco che la logica vorrebbe che il paziente venisse trasferito in reparto. «Ma siccome non ci sono letti e quindi non c’è posto - insiste il medico di cui, per ovvi motivi, non facciamo il nome -, il paziente resta lì, in barella». A dieci centimetri, anche meno, da un’altra barella, dove c’è un altro paziente come lui che aspetta e spera. Una situazione che è stata fatta presente più volte. Invano: «Ci hanno risposto che bisogna resistere. E noi resistiamo, anche se non sappiamo proprio fino a quando». Intanto l’intasamento si fa più critico anche per l’abitudine, diciamo così, di molti extracomunitari che vanno direttamente al pronto soccorso se hanno solo i sintomi del raffreddore. Sono il 40 per cento degli assistiti, mica pochi. Così si arriva facilmente ai 50mila accessi all’anno. Insostenibili. Mentre a due passi c’è pronto il nuovissimo, moderno Padiglione 9 bis che aspetta ancora il via libera, impastoiato in questioni di chissà quali permessi. A proposito: il Gabibbo è già allertato e pronto a «strisciare la notizia».
Sì, d’accordo, tutto questo Burlando e Canini non l’hanno visto, durante la loro trionfale passerella elettorale. Ma anche se non l’hanno visto, lo sanno lo stesso. E sarebbe il caso che provvedessero, per quanto di competenza.

A meno che per risolvere i problemi della sanità malata non pensino di usare ancora la solita medicina (scaduta): aumentare le tasse. E magari anche chiudere Villa Scassi, come piacerebbe a una certa sinistra che vuole guarire la malattia con le ricette della cattiva politica.

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