Padre Bossi prigioniero di Abu Sayyaf, l’Al Qaida delle Filippine

L’annuncio dato dal consigliere per la sicurezza nazionale, che precisa: «Il rilascio non sarà né facile né imminente»

Padre Bossi prigioniero di Abu Sayyaf, l’Al Qaida delle Filippine

Fino a ieri era solo un angosciante timore, una paura ricacciata con forza. Ora è qualcosa di più. Ora è un'ipotesi di lavoro suggerita dall'esperienza degli investigatori e corroborata dalle informazioni ottenute dalle forze di sicurezza filippine. Padre Giancarlo Bossi forse è caduto nelle mani di Abu Sayyaf, la spietata gang terroristica legata Al Qaida attiva da oltre un decennio nell'arcipelago di Mindanao. A diffondere la scoraggiante notizia, non ancora suffragata da alcuna rivendicazione o prova diretta, ci pensano le autorità di Manila subito dopo gli incontri con il sottosegretario agli Esteri Margherita Boniver.
A parlare per primo è Norberto Gonzales il consigliere per la Sicurezza nazionale, che nei giorni scorsi ha condotto i colloqui con l'inviato della Farnesina. Il consigliere, molto vicino alla presidente Glorya Arroyo, non va per il sottile. «Abbiamo suggerito - spiega Gonzales facendo riferimento ai colloqui con il nostro sottosegretario - di non essere troppo ottimisti perché dobbiamo confrontarci con Abu Sayyaf. Intendiamo dire che ottenere la liberazione del missionario non sarà né facile né veloce, visti i personaggi persone con cui abbiamo a che fare».
La Farnesina per il momento preferisce posizioni meno allarmiste e fa sapere di non poter confermare le parole di Gonzales. Le dichiarazioni hanno, però, l'effetto di una doccia gelata e spazzano via l'ottimismo diffusosi dopo la divulgazione delle sei foto in cui il missionario del Pontificio Istituto Missioni Estere appare dimagrito, ma sostanzialmente in buone condizioni di salute.
Quelle foto peraltro potrebbero non essere le sole in circolazione. «Le informazioni che stiamo ricevendo ci fanno ritenere che il missionario sia ancora vivo e che ci siano altre foto in arrivo», assicura, nella stessa conferenza stampa, Gonzalez.
Fino ad oggi le ipotesi ufficiali sui rapitori del 57enne missionario originario di Abbiategrasso tendevano ad escludere il coinvolgimento di Abu Sayyaf. La tesi più accreditata era quella di un sequestro gestito da una frangia scissionista uscita dal Fronte Islamico Moro di Liberazione (Molf), il movimento separatista musulmano impegnato in negoziati di pace con il governo filippino. Ad avvalorare questa tesi contribuivano la regione del sequestro considerata lontana dalla zona d'influenza dei terroristi di Abu Sayyaf e le informazioni diffuse dal Fronte Moro.
La disponibilità del Milf a partecipare alle indagini era stata interpretata come una prova del coinvolgimento dei fuoriusciti contrari ai negoziati con le autorità. Qualche giorno fa però l'Inquirer, un quotidiano molto vicino ai militari e ai servizi di sicurezza, aveva annunciato il timore di un coinvolgimento del gruppo di Abu Sayyaf. E ieri si è avuta la conferma.
Attivi prima ancora che Al Qaida s'imponesse come marchio internazionale del terrore fondamentalista, i militanti islamici di Abu Sayyaf hanno costruito la propria fama inanellando operazioni ardite quanto spietate contrassegnate da atrocità contro i civili.
Una delle più famose è il rapimento del turista californiano Guillermo Sobeiro e dei coniugi Martin e Gracia Burnham, una coppia di missionari americani. I tre vennero sequestrati nel maggio 2001 assieme a diciassette lavoratori filippini durante l'assalto a una stazione turistica della provincia di Basilan. Sobero venne decapitato durante la prigionia.
Nel giugno 2002 coniugi Burnham si ritrovarono coinvolti nella feroce battaglia seguita al tentativo dell'esercito di espugnare il covo in cui venivano tenuti prigionieri.

Martin Burnham cadde sotto i colpi e sua moglie restò gravemente ferita. L'azione più feroce rivendicata dal gruppo Abu Sayyaf è l'attentato e il successivo affondamento di un traghetto costato la vita nel 2004 a 116 filippini.

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