Padre Bossi racconta: «I terroristi islamici volevano un riscatto»

L’ex ostaggio di Abu Sayyaf rivela: la banda prendeva ordini da qualcuno via cellulare

Padre Bossi racconta: «I terroristi islamici  volevano un riscatto»

«Dicevano di appartenere alle milizie fondamentaliste di Abu Sayyaf. Mi hanno prelevato perché volevano soldi per comprare armi, ma sono sempre stato trattato bene», ha raccontato padre Giancarlo Bossi, finalmente da uomo libero, con il volto scavato e dimagrito, dopo 39 giorni vissuti da ostaggio. La polizia filippina ha confermato che la banda di rapitori era una frangia fuoruscita dal Fronte islamico Moro di liberazione nazionale (Milf), il più forte movimento amato separatista dell’isola di Mindanao nel sud delle Filippine. Come aveva scritto il Giornale gli estremisti islamici si erano avvicinati al gruppo terrorista Abu Sayyaf e puntavano a un riscatto, che tutti giurano di non aver pagato, per acquistare armi.
«Più volte durante la prigionia – ha spiegato padre Bossi – i sequestratori dicevano di avermi prelevato al fine di ottenere un riscatto per il gruppo terroristico di Abu Sayyaf». Lo hanno preso in quanto italiano convinti che il governo filippino avrebbe ceduto per salvare uno straniero, per di più missionario.
«Tutti i giorni – rivela padre Bossi in un’intervista a Radio Vaticana -. Loro pregavano e io pregavo. Una delle domande che facevo, anche a me stesso, era: “Ma stiamo invocando lo stesso Dio o è un Dio diverso, visto che voi pregate con il fucile a destra e io rapito a sinistra?”».
Durante la prigionia i rapitori spostavano l’ostaggio di frequente «da un posto all’altro, ma sono sempre stato trattato bene». Sul sito di Asianews, agenzia di stampa vicina al Pontificio istituto missioni estere, di cui fa parte padre Bossi, è stata descritta la giornata tipo durante il sequestro. Solitamente iniziava con la sveglia alle 4.30 del mattino e lunghe marce nella foresta per raggiungere il bivacco successivo. Finalmente alle 7 di sera la banda si fermava e poi «si cercava, per quanto possibile, di dormire. Di giorno era impossibile farlo a causa delle zanzare». Mentre il missionario in ostaggio marciava nella foresta la sua mente andava «agli amici e alla famiglia, alla situazione che stavo vivendo, e ovviamente alla preghiera. Tenere attiva la mente è stato fondamentale per sopravvivere. Pensavo di rimanere in ostaggio per due, tre mesi».
Padre Bossi ha avuto problemi solo con il cibo: «La dieta a base di riso, sale e pesce secco mi ha fato perdere 15 kg, ma non importa, perché a breve li recupererò tutti». In realtà è sempre rimasto nella zona dove era stato portato via, ma per riuscire a tenere il passo dei rapitori ha dovuto abbandonare, nonostante sia un fumatore incallito, le sigarette. «Un giorno, mentre stavo scalando una montagna con i miei rapitori, ricordo di essermi sentito all’improvviso molto debole - ha raccontato padre Bossi -. In quel momento mi sono detto che se avessi voluto sopravvivere, avrei dovuto comunque smettere di fumare. E così è stato».
L’ex ostaggio rivela anche che la banda prendeva ordini da qualcuno attraverso il telefono cellulare. Jaime Caringal, comandante della polizia filippina a Mindanao, ha sottolineato che non è stato pagato alcun riscatto, ma padre Bossi non può essere stato liberato per l’opera dello Spirito Santo. L’ostaggio è stato rilasciato alle 9 di sera di giovedì, le 15 in Italia, su ordine del comandante Kiddie, al secolo Akidin Abdulsalam, un esponente di spicco del fronte Moro uscito dal movimento per avvicinarsi ai gruppi più estremi come Abu Sayyaf. Fin dall’inizio i testimoni avevano indicato che suo fratello, Waning Abulsalam, guidava il commando che ha rapito padre Bossi. La mediazione è stata portata avanti da un amministratore locale legato al Fronte Moro.
Ieri padre Bossi era a Manila, dove rimarrà almeno un paio di giorni, ed è stato ricevuto dal presidente delle Filippine Gloria Macapagal Arroyo. Durante la conferenza stampa il missionario ha voluto ricordare la morte dei 14 marines filippini, dieci dei quali decapitati e mutilati, durante le ricerche per liberarlo.

«Sento il peso dell’accaduto, mi sento responsabile e voglio incontrare le loro famiglie», ha detto il religioso. Poi è andato a riposare nella “casa” del Pime nella capitale, ma ha ribadito che tornerà il prima possibile alla sua missione nel sud delle Filippine: «Il mio cuore è ancora a Payao, voglio tornare dai miei bambini».

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