Un padrino per Saviano: è De Benedetti

Al Palasharp di Milano l'editore di Repubblica tiene a battesimo l'autore di Gomorra davanti alla folla giustizialista che ha dimenticato i suoi guai giudiziari: dal crac del Banco Ambrosiano alle accuse di insider trading e falso in bilancio. L'ingegnere scarica Veltroni dopo averlo ripescato e strizza l'occhio a Franceschini

Un padrino per Saviano: è De Benedetti

Se questo era un battesimo, è tut­to regolare: in prima fila c’era il padrino. Carlo De Benedetti, ap­punto. Proprio come in una per­fetta liturgia secondo il vangelo di Repubblica : il neonato (leader) Roberto Saviano è stato immerso nell’acqua purificatrice, la folla dei fedeli si è inginocchiata, l’In­gegnere ha preso in braccio il suo nuovo figlioccio politico. E davan­ti all’altare del Palasharp ha rin­novato le promesse di fede della chiesa democraticamente corret­ta: «Credi in Dio, padre delle Pro­cure onnipotenti? Credo! Ri­nunci a Satana Berlusconi, al­la Mondadori e alle sue tenta­zioni? Rinuncio! ». La messa è finita, andate e non dategli pa­ce. Così sia.

Alla cerimonia c’erano tut­ti, con gli occhi rossi e il cap­pello in mano: del resto non capita spesso di tenere a bat­tesimo un nuovo leader. Od­dio, a De Benedetti capita piuttosto sovente: l’ultimo è stato Veltroni, ma non è nem­meno arrivato a far la prima comunione, poveretto. Così adesso l’Ingegner padrino ci riprova: punta sull’autore di Gomorra , che è più credibile di Walter, ha più appeal di D’Alema, a differenza di Franceschini sa vendere li­bri, a differenza di Di Pietro conosce la grammatica e piuttosto che dire come Ber­sani «mica possiamo mette­re insieme una scarpa e una ciabatta» si farebbe tagliare la lingua. Date le circostan­ze, è il meglio che la sinistra possa produrre.

Saviano sa di essere nel tempio del Palasharp in ve­ste neocatecumenale, il po­polo viola ha lasciato spazio alle sciarpe bianche. Del re­sto, è noto: il battesimo porta candore. Mani pulite, piazza pulita: il nuovo leader della sinistra giustizialista ci tiene a ripetere più volte che lui ha 30 anni (mica come i vecchi D’Alema e Veltroni)e che vie­ne dal Sud ( contro l’asse nor­dista Berlusconi-Bossi). Nel suo discorso cita tutti, da Go­betti ad Albert Camus, pas­sando per don Milani, Salve­mini, Guicciardini, Falcone, Borsellino, Livatino, Pippo Fava, Giancarlo Siani, Rocco Chinnici e Monicelli. L’uni­co che non cita è il Cavaliere che, come da apposito mani­­festo d’invito, vorrebbe ab­battere, magari passando per un rinnovato piazzale Lo­reto. Dice che «ci vuole un progetto vero», vuole «diver­tirsi a pensare un futuro di­verso per l’Italia» e parla d’amore. Infatti. Appena lui finisce di parlare qualcuno si alza e urla: «Berlusconi ban­dito, devi morire». Amorevol­mente, però.

Che ci volete fare? È il rito necessario per aderire fino in fondo alla religione della sinistra giudici&manette, quella di Repubblica , insom­ma. Finora Saviano era solo un adepto, ora invece viene immerso nella fonte sacra, mentre il padrino gli tiene la mano sulla testa. E lo battez­za leader. Che strano battesi­mo, però: più che di nuova vi­ta, c’è voglia di morte; più che di acqua,c’è voglia di san­gue; più che una fonte, sem­bra un lavacro. «Facile stare lontano dall’agone e sentirsi puro», dice Saviano. Sottinte­so: «Qui ci sentiamo tutti pu­ri, ma non basta. Nell’agone bisogna entrarci. Io lo sta fa­cendo, e per questo sono pronto a rinnovare la mia fe­de nella chiesa ortodossa di rito debenedettiano». Così sia.

In platea, in effetti, si ha l’impressione che si sentano tutti molto puri. E molto du­ri. C’è Umberto Eco che dà dello «schizofrenico» al pre­mier, ma se lo dice lui dev’es­se­re senz’altro una cosa mol­to intelligente. C’è Moni Ova­dia che sembra un Che Gue­vara che ha perso il treno del­la storia. C’è la sinistra del­l’orgoglio cachemire , ci sono gli uomini di spettacolo im­pegnati, da Milva a Gad Ler­ner, Gustavo Zagrebelsky il radical chic con privilegi e au­to blu a domicilio, e poi le fi­glie di Biagi, il figlio di Dalla Chiesa, la figlia di Tobagi, il fratello di De Benedetti, co­gnati, zii e parenti tutti. A pri­ma vista, per completare la fa­miglia del padrino, manca­no solo i figli di Ezio Mauro, i nipoti di Fabio Fazio e i Cugi­ni di Campagna. In compen­so c’è un bambino di 13 anni, cui hanno fatto recitare la po­esia imparata a memoria. Di­ce cose improbabili e batte i pugni (fuori tempo) senza sa­pere perché. Un’altra idea as­sai intelligente, dev’essere anche questa di Umberto Eco.

Comunque si sentono tutti puri. Purissimi. Com’è di­stante la funerea assemblea romana del Pd, con quel cli­ma da estrema unzione. Qui c’è lospirito santo del battesi­mo, con la sacra benedizio­ne dei pm. Qui c’è un bagno di folla purificatore, in attesa del bagno di sangue vendica­tore. E tutti sono candidi co­me la neve, a cominciare dal padrino De Benedetti, sedu­to lì in prima fila, tra Lella Co­sta e Franceschini, finalmen­te senza cravatta e senza Vel­troni. E quel candore dev’es­sere una bella sensazione per lui, che è passato per il Banco Ambrosiano di Calvi, per l’accusa (caduta in pre­scrizione) di tangenti per i computer alle Poste e per l’accusa (patteggiata) di insi­der trading e falso in bilan­cio.

Dev’essere una bella e rinnovata sensazione: per questo ama partecipare ai battesimi. E chissà se al suo figlioccio neonato leader, questa volta ha portato in re­galo, come si usa, una cateni­na o un bracciale. O diretta­mente un paio di manette d’oro.

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