Pakistan al voto Musharraf verso la sconfitta

Una certezza c’è, da oggi Pervez Musharraf non sarà più l’incontrastato signore del Paese. Il Pakistan ha votato per eleggere i 342 deputati dell’Assemblea nazionale e ha esorcizzato le funeste previsioni della vigilia. Le falangi di kamikaze pronte a trasformare in obitori le sezioni elettorali non si sono presentate all’appuntamento. Non ce n’era bisogno. Alla fine poco più di un terzo degli oltre 81 milioni di votanti ha trovato il coraggio di affacciarsi ai seggi. A tenere a casa gli altri è bastato il ricordo di una campagna elettorale segnata dalle stragi culminate con l’assassinio di Benazir Bhutto e chiusa, sabato, dal massacro di una cinquantina militanti del suo Partito del popolo pakistano.
Il verdetto delle urne col passare delle ore è più chiaro. L’ex premier Nawaz Sharif e gli eredi politici della Bhutto sono in netto vantaggio. Uno degli alleati più fedeli di Musharraf, Shujaat Hussain, è stato sconfitto nella circoscrizione della provincia del Punjab dal candidato del Partito popolare del Pakistan. Un vero e proprio schiaffo. E il portavoce del presidente pachistano ha ammesso candidamente che «i primi risultati mostrano un grande vantaggio della Lega di Sharif. Se i risultati saranno confermati saremo all’opposizione». Se Musharraf perderà di misura ma manterrà, grazie ai parlamentari eletti, un ruolo politico cospicuo dovrà dividere il potere con un primo ministro designato da quel Ppp fedele all’eredità di Benazir. Se invece verrà travolto non solo dal Ppp, ma anche dalla formazione politica di Nawaz Sharif, Musharraf dovrà incominciare a valutare i rischi di una procedura d’incriminazione votata da due terzi del parlamento.
Sul complesso scenario militar istituzionale da cui dipendono controllo del Paese, rapporti con gli Stati Uniti e capacità di fronteggiare la minaccia alqaidista, la situazione non è migliore. Qui la stella di Pervez Musharraf ha già lasciato il posto a quella del generale Ashfaq Parvez Kayani. A fine novembre fu proprio il presidente, costretto dalla Corte suprema a scegliere tra le cariche di capo dello Stato e dell’esercito, a spogliarsi dei gradi per affidarli a quel suo vice silenzioso e fedele. Ora però il generale pilotato da Musharraf alla testa dei servizi segreti e poi alla guida dell’intero apparato militare sembra pronto a strappargli non solo i gradi, ma anche la fiducia del grande amico d’oltreoceano. A Washington quel generale schivo e poco amante della ribalta sembra l’uomo perfetto per sostituire l’ormai inaffidabile Musharraf. E così, a pochi giorni dal voto, Ashfaq Kayani ha emanato un decreto che impone la fine di qualsiasi coinvolgimento dei militari nella politica del paese. Dopo quel decreto, che ha il sapore di un bacio della morte, Musharraf non può più contare sul sostegno di centinaia di alti ufficiali essenziali, grazie all’inserimento in posti chiave delle istituzioni, per controllare il parlamento e la politica.


La vera pugnalata alla schiena inferta dal generale silenzioso sarà però la sostituzione, subito dopo il voto, di un generale sistemato da Musharraf ai vertici dei servizi segreti. Senza quell’uomo di fiducia alla testa dell’intelligence il presidente si ritrova praticamente disarmato.

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