Palcoscenico Al Belli «Vincent Rider» di Philip Ridley tra omicidi irrisolti e confessioni esistenziali

Palpita tutto di sottili corrispondenze, di misteriose ambiguità, di coincidenze fatali il bel testo del quarantaquattrenne Philip Ridley - scrittore, sceneggiatore, drammaturgo, pittore e fotografo londinese tra le personalità più eclettiche del panorama britannico - di scena al Belli come titolo conclusivo della rassegna «Trend». Si intitola «Vincet River». Come il protagonista «assente». Ovverosia, quel giovane uomo trovato morto alla stazione di Shoreditch che funge da polo catalizzatore di due anime smarrite e fragili (Anita, la madre, e Davey, il ragazzo che ha rinvenuto il cadavere e che si capirà in seguito aver avuto una relazione intima con la vittima), entrambe in cerca di una risposta, di una consolazione, di un momento di fuga dalla tragedia. Tragedia personale e in definitiva «non» condivisibile che, come insegna la migliore drammaturgia d’oltremanica, viene sbucciata lentamente, appoggiandosi sulle rivelazioni di un duplice coming out circoscritto nel tempo (una serata) e nello spazio (il piccolo appartamento ancora non arredato dove la donna si è trasferita da qualche giorno), attraverso il quale non solo si va componendo il puzzle di un’intera vita ma si rivelano pure, complici l’alcol e una crescente intimità, le assurde circostanze del delitto. Quasi fossimo in un corto circuito di relazioni e sentimenti complementari destinati però a suonare a-simettrici e a retrocedere verso la solitudine iniziale.

Pièce dunque dove il dialogo, la lingua delineano essi stessi una vicenda trascorsa che la regia di Carlo Emilio Lerici rilegge in chiave di misurata semplicità per meglio mettere a nudo l’interpretazione degli attori: Francesca Bianco si muove bene nel ruolo di madre ferita, ma all’apparenza algida, mentre Michele Maganza regala al suo personaggio le oscillazioni proprie di un animo più controverso e disorientato. Su tutto pesa poi un indicibile senso di nostalgia e impotenza.

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