Un palcoscenico per «camaleonti»

Con il suo sguardo camaleontico rivolto alla globalità dei linguaggi espressivi così come alla produzione artistica di tutti i Paesi del mondo, il Romaeuropa Festival è sempre stato molto più di una semplice vetrina di spettacoli. Semmai, sin dalla sua prima edizione, ha dimostrato di poter contare su una marcia vincente: una sorta di antenna parabolica capace di intercettare le vibrazioni di un universo in rapida trasformazione dove i confini tra le arti, tra i popoli, tra i generi, tra tradizione e innovazione si sono a poco a poco affievoliti fin quasi a scomparire. Le parole d’ordine predilette suonano insomma: mescolare, unire, osare, sperimentare assemblaggi inconsueti, rovistando nell’inventiva europea, in quella di continenti lontani e, allo stesso tempo, in quella che nasce e fiorisce a casa nostra. Motivo per cui, sfogliando il programma 2008-2009 degli eventi (messo a punto dal neodirettore Fabrizio Grifasi), non vi troveremo titoli di prosa «pura» o di danza classicamente intesa o di musica punto e basta. E se volessimo tentare di costruire una mappa delle operazioni che più si avvicinano a un’idea rassicurante di teatro, ci troveremmo in difficoltà. Perché ci capiterà di leggere il nome di Jiuliette Binoche (interprete d’eccezione, in qualità di ballerina e attrice, della pièce In-I del coreografo bengalese Akram Khan, prevista dal 5 all’8 novembre all’Olimpico) incastonato tra quello dei Santa Sangre (esploratori dell'ecosistema e dei suoi squilibri nel concerto sintetico Seigradi), dei Muta Imago (artefici di un visionario viaggio nella memoria e nella guerra intitolato Lev) e dell’Accademia degli Artefatti (creatori di una non stop di 24 ore, One day il titolo, tesa a ribaltare le consuetudini della percezione teatrale): ovverosia nomi di «giovani» compagnie italiane «alla ricerca» di un linguaggio sospeso tra performance e spettacolo dal vivo. Non solo: avremo modo pure di ritrovare un pezzo di grande cultura indiana (quella legata al teatro kutiyattam, ritenuto dall’Unesco «patrimonio orale e immateriale dell’umanità»), proposto al pubblico capitolino, complici la compagnia del Natana Kairali e un poema mitologico da cui scaturiscono le origini del Mahabharata, dal 13 novembre al Palladium. In quella stessa sala, cioè, dove poco dopo esploderà la lingua estremamente fisica, drammatica e attuale di Alain Platel, coreografo e regista belga impegnato, insieme con la danzatrice Fumiyo Ikeda e il mimo Benjamin Verdonck, a raccontare lo scempio dai bambini soldati in Nine Finger (20 e 21 novembre).

E se questo è solo uno scenario parziale delle produzioni che si vedranno in città fino a dicembre, non di meno il Romaeuropa 2008 riserva spazio a incontri e confronti che, in scaletta all’Opificio delle Arti e coordinati dal critico Andrea Porcheddu, cercheranno di fare luce proprio sui confini smarginati di una cultura spettacolare ormai aperta a tutto. Info: 06.45553055.

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