La porta aperta di casa durante la processione, l'inchino di riverenza e un scambio veloce di sguardi. Tutto nel giro di poco meno di un minuto. Tanto è bastato perché occhi attenti notassero questo particolare.
A Villafrati, in provincia di Palermo, l'arciprete ha fermato domenica sera la processione del "Corpus Domini" davanti alla casa di un capomafia in carcere, Ciro Badami, uno dei fedelissimi di Bernardo Provenzano. Una sosta non prevista, con il maresciallo e il sindaco che si sono subito allontanati dalla processione prendone di fatto le distanze. Entrambi hanno inviato una missiva alla procura, al prefetto e all'arcivescovo di Palermo. "Se quel sacerdote fosse stato un mio assessore lo avrei già cacciato - dice a Repubblica il sindaco Francesco Agnello -. Io non so se il sacerdote sapesse o meno che quella è l'abitazione di un mafioso condannato: c'era la porta aperta, accanto era stato sistemato un piccolo altare. Ma non ci possono essere equivoci davanti a certe situazioni. E Villafrati ha fatto ormai da anni delle scelte chiare, che non cambieranno di certo per i comportamenti di poche persone".
Domenica sera, c'era la moglie del boss ad accogliere la processione davanti casa: si è scambiata un veloce saluto con il sacerdote. Anche questo gesto non è passato inosservato. "La famiglia di questo mafioso non ha mai manifestato una presa di distanza dai comportamenti del proprio congiunto. Ecco perché quella sosta la considero inaccettabile.
Un evento ancora più grave di un inchino, la porta di casa aperta è un segnale chiarissimo".Non è il primo caso e non sarà l'ultimo. A Catania qualche anno fa l'inchino del boss portò all'immediato blocco della processione, episodi simile anche a Pavia, a Reggio Calabria e persino durante la processione di Pasqua il corteo deviò per passare dalla casa del boss.
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