Cosa Nostra, ergastolo a quattro boss mafiosi che hanno commesso tre omicidi

Quattro boss di Tommaso Natale sono stati condannati all'ergastolo per tre omicidi. I giudici hanno accolto la richiesta del pm Amelia Luise

Cosa Nostra, ergastolo a quattro boss mafiosi che hanno commesso tre omicidi

Quattro boss mafiosi sono stati condannati al carcere a vita. Sono accusati di avere avuto un ruolo negli omicidi di Giampiero Tocco, Antonino Failla e Giuseppe Mazzamuto, tutti scomparsi col metodo della lupara bianca tra il 1999 e il 2000, nelle zone di Terrasini e Carini (Palermo).

La seconda sezione della Corte d'Assise di Palermo ha condannato all'ergastolo i boss Vincenzo e Giovan Battista Pipitone, Antonino Di Maggio e Salvatore Cataldo. I giudici hanno accolto in pieno la richiesta del pm Amelia Luise e hanno disposto che gli imputati risarciscano le vittime, costituite parte civile. Ad accusare i fratelli e gli altri imputati, i pentiti Nino Pipitone, nipote degli altri due, e Gaspare Pulizzi, che hanno raccontato il tragico rapimento di Tocco, sequestrato davanti alla figlia di 6 anni e fatto sparire. Failla e Mazzamuto invece furono assassinati in una casa e poi sepolti con la Fiat Uno su cui erano andati all'ultimo appuntamento, quello con la morte. In un altro processo erano già stati condannati come mandanti dei delitti i boss di Tommaso Natale Salvatore e Sandro Lo Piccolo, padre e figlio.

La ricostruzione degli omicidi

Antonino Failla e Giuseppe Mazzamuto, vennero attirati in un'abitazione dai boss di San Lorenzo. Lì, il primo fu ucciso a colpi di accetta, il secondo con un’arma da fuoco. Per occultare i loro cadaveri, che non sono mai stati ritrovati, fu fatto arrivare un escavatore. A ordinare l'omicidio Salvatore e Sandro Lo Piccolo. I capimafia di San Lorenzo, sospettavano che i fossero stati loro ad uccidere e far sparire il loro familiare Luigi Mannino.

Per l'omicidio di Giampiero Tocco, erano imputati Vincenzo e Giovambattista Pipitone. Tocco fu sequestrato da un commando di finti agenti il 26 ottobre del 2000. Quando lo fermarono inscenando un finto posto di blocco, a bordo dell'auto insieme a lui, c’era anche la figlia di sei anni. A fornire indicazioni sull'accaduto, attraverso un disegno che mostrava un uomo con la paletta e la scritta "polizia", fu proprio la bambina, che oggi ha 26 anni. L'accaduto fu registrato dalle microspie che i carabinieri avevano installato nel fuoristrada di Tocco. I militari sospettavano infatti che l'uomo fosse coinvolto nell’uccisione di Giuseppe Di Maggio, figlio del noto Procopio Di Maggio, reggente della famiglia mafiosa di Cinisi e storico alleato di Totò Riina.

Le dichiarazioni dei pentiti

L'omicidio di Failla e Mazzamuto. Pipitone racconta che partecipò al delitto, ma non sa dove si trovano i corpi. "In compagnia di mio zio Vincenzo e di mio zio Giovanni ci recammo da Totò Cataldo, che aveva fissato un appuntamento a casa sua, che si trova a Villagrazia in via dei Limoni – dichiarò il collaboratore di giustizia -. Trovai Cataldo, Antonino Di Maggio, Angelo Conigliaro nonché le due vittime. Vi era anche Gaspare Pulizzi, in mia presenza Conigliaro prese Failla, colpendolo con un'ascia e stordendolo, per poi strozzarlo. Di Maggio che era armato prese Mazzamuto che fu colpito. La corda al collo di Failla fu messa da Angelo Conigliaro e dai miei zii Giovan Battista e Vincenzo, la fase dello strangolamento è durata alcuni secondi".

L'omicidio di Tocco. Le dichiarazioni fatte dal boss della famglia mafiosa di Carini Antonino Pipitone e, quelle fatte da altri due pentiti, hanno portato alla svolta nelle indagini sull'omicidio. I militari dell'Arma, attraverso i riscontri effettuati, sono riusciti a ricostruire il delitto. Ferdinando Gallina e Gaspare Pulizzi, nei giorni precedenti il delitto, effettuarono i sopralluoghi lungo l’itinerario percorso da Tocco. Ad inscenare il finto posto di blocco, furono Antonino Pipitone e Salvatore Gregoli. I due indossarono delle pettorine e utilizzarono un'auto con lampeggianti per riuscire a fermare il fuoristrada e sequestrare Tocco. Poi lo portarono in un'abitazione di Torretta, nel Palermitano. Salvatore e Sandro Lo Piccolo, Ferdinando Gallina, Damiano Mazzola e Gaspare Pulizzi, fecero da staffetta. A strangolare Giampiero Tocco furono invece Giovan Battista e Vincenzo Pipitone, insieme a Salvatore e Sandro Lo Piccolo.

"…. c’è a picciridda nna machina… camu a fari cu sta picciridda”. La bambina piangeva: ” … papà, papà… non andartene… “. Il padre capì che stava andando incontro alla morte e tentò di salvare la figlia: “… non prendetevela con lei, è chiaro?… “. La figlia chiamò subito la madre: ” … mamma, mamma, la polizia ha preso papà… hanno controllato se aveva la patente, non so dove è andato, mi sono spaventata da morire… lo mandano in galera? … voglio andare via, non mi sento bene… ”. In macchina cominciò l’interrogatorio di Tocco: “… fustivu a Partinico stamatina?… a cu ammazzasti?”. “Io ti ammazzo… facemu i cosi beddi puliti”, disse uno dei componenti del commando. Tocco pensava solo alla figlia: “C’è a picciridda in macchina”. In precedenza sono già stati condannati all'ergastolo Salvatore e Sandro Lo Piccolo, quali mandanti.

Dopo l'omicidio, Gallina e Pulizzi caricarono il cadavere di Tocco all’interno di un’auto e lo trasportarono in contrada Dominici a Torretta.

Dove venne sciolto nell’acido alla presenza di Vincenzo, Antonino, Giovan Battista Pipitone e Angelo Conigliaro (oggi deceduto). La decisione di eliminare Giampiero Tocco fu presa perché i Lo Piccolo, lo ritenevano tra i responsabili dell'omicidio di Giuseppe Di Maggio, figlio di don Procopio, boss di Cinisi.

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