Ruggero Guarini
Quale dei grandi scrittori italiani del nostro tempo avvertì per primo le inquietanti implicazioni della fecondazione artificiale: Moravia? Calvino? Pasolini? Quale dei nostri grandi pensatori: Severino, Cacciari, Vattimo? Quale dei nostri grandi moralisti: Rodano? Bobbio? Scalfari? Beh, il primo fu Papini. Che allinizio degli anni 50 toccò il cuore del problema in una delle sue ultime «schegge», le bellissime note che negli ultimi anni della sua vita, ormai cieco e semiparalitico, dopo averle dettate alla nipote, inviava al Corriere della Sera.
Papini morì cinquantanni fa, esattamente l8 luglio del 56, ma sembra che nessun nostro grande critico abbia molta voglia di onorare la ricorrenza. Le ragioni del resto sono note. Le grandi parrocchie egemoni della cultura italiana hanno deciso da un pezzo che Papini, dopo aver espresso in gioventù, nei primi due decenni del 900, le sue indubbie qualità di letterato votato alla provocazione culturale, convertitosi al cattolicesimo e accettato qualche compromesso col fascismo, non scrisse più niente di interessante e cessò praticamente di pensare. Ma questa è una volgare panzana. Papini continuò a pensare fino allultimo giorno della sua vita. A cose serie e profonde, con mente lucida e aperta, e con animo sempre più puro. Ma mostrandosi, purtroppo, del tutto indifferente alla grande chiacchiera ideologica con cui proprio in quegli anni la nostra sinistra incominciò a realizzare il suo disegno egemonico.
Un importante paragrafo di quel disegno riguarda fra laltro appunto la diffamazione e rimozione di Papini. Che incominciò con lenorme rilievo che fu subito dato alla celebre nota in cui Gramsci lo aveva dipinto come un briccone. Ecco quellinfelicissimo passo: «In Papini manca la rettitudine: dilettantismo morale. Nel primo periodo della sua carriera letteraria questa deficienza non impressionava, perché basava la sua autorità su se stesso, era il partito di se stesso. Oggi (1932) si è innestato in un vasto movimento da cui trae autorità: la sua attività è diventata perciò canagliesca nel senso più spregevole, dello sparafucile, del sicario prezzolato...».
Povero Gramsci. In quegli stessi anni, in una celebre nota sul fondamento delletica, era giunto a sostenere che il Partito doveva prendere «il posto, nelle coscienze, della divinità e dell'imperativo categorico». Dal che sembra doversi dedurre che sarebbe vano domandarsi se a imporgli di pensare che Papini era un farabutto fu la coscienza o il partito, visto che a suo parere erano suppergiù la stessa cosa.
Ma ecco la «scheggia» citata: «La fecondazione artificiale della donna è, fino ad oggi, quasi ignota tra noi, ma in America, a quanto mi diceva un ginecologo dopo un viaggio laggiù, esistono circa centomila figli che non ebbero un vero padre; centomila figli della siringa. Non più figli dellamore cocente e concorde, ma figli di uniniezione.
E questo acutissimo pensiero su un argomento che incontra ancora oggi lassoluta indifferenza dei nostri intellò più loquaci sarebbe uscito dalla mente di uno scrittore che da molti anni aveva smesso di pensare?
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