IL PARTITO DEL LINCIAGGIO

IL PARTITO DEL LINCIAGGIO

Lo stile nazionale per fare i conti con il passato più recente, è il linciaggio: terminata la Prima guerra mondiale si bruciano le sedi dei giornali socialisti. Verso la fine della Seconda si appende per i piedi il cadavere di Benito Mussolini. Mentre si consuma la prima Repubblica, si tirano monetine a Bettino Craxi. Non stupisce che il «trattamento» oggi sia (per ora solo giornalisticamente) riservato anche al tanto lodato (un tempo) Antonio Fazio. Mentre chi chiede riflessione pacata, è subito arruolato tra i fazisti, anzi ta-fazisti come Europa, quotidiano della Margherita, definisce chi non partecipa al linciaggio.
Finché si può, comunque, è meglio continuare a coltivare il vecchio vizio della riflessione e spiegare come la storia non possa essere ridotta alla lotta tra Diabolik e l'ispettore Ginko. Oggi l'ipocrisia nazionale suona questa musica: in una realtà perfetta è apparsa una mela marcia (Gianpiero Fiorani) e il connivente Fazio non ha voluto riconoscerla. In realtà l'ultima iniziativa del Governatore fa parte di una lunga storia, nella quale numerose banche legate al territorio (e dunque per lo più alla politica) hanno avuto i loro guai. Non è un'esclusiva italiana: negli Stati Uniti le casse di risparmio solo qualche anno fa sono finite in una bufera terribile. In Giappone il sistema bancario, per gli intrecci con altre attività economiche, è piombato in una crisi generalizzata. Anche in Germania il rapporto tra banche, politiche e imprese ha provocato effetti dannosi, alla base per esempio di quella quota pesante d'incagli che ha agevolato l'operazione Unicredit sulla Hvb. Già con Carlo Azeglio Ciampi gestire i guasti provocati dall'intreccio tra banche, politiche e territorio è stata un'arte difficile che richiedeva ricuciture e non solo strappi: così le vicende del Banco di Napoli.
L'apertura crescente al mercato, la riforma della legge bancaria del '93, il ritirarsi dello Stato hanno fatto il resto. E Fazio si è trovato a gestire numerose situazioni di crisi con il metodo della «banca-pattumiera» che assorbiva «la banca-immondizia». Così ha preservato l'Italia da scossoni troppo forti e ha lasciato un sistema creditizio in discrete condizioni. La logica di tante di queste operazioni non è mai stata sostanzialmente diversa da quella usata con la scalata della Lodi su Antonveneta: forse con un colpo di teatro si è tentato in questo caso di far assorbire «la pattumiera» dall'«immondizia». Questa strategia fazista ha chiari limiti. E l'errore centrale è stato condizionare all'operazione assorbimento «immondizia», tutto il sistema, tagliando le punte dinamiche: da qui la liquidazione di Vincenzo Maranghi, voluta in prima persona dal Governatore. E alla fine la buona salute del sistema bancario italiano si è tradotta in fragile capacità di sostegno all'economia e supersfruttamento dei risparmiatori. È evidente come, dunque, fosse giusto chiudere questa fase. In qualche modo ci aveva tentato il dalemiano Vincenzo Visco. Poi ci ha provato, prendendo un sacco di botte, Giulio Tremonti. Ora è possibile tentare di nuovo.

Ma a due condizioni: riconoscere che Fazio aveva un disegno, sbagliato ma che rispondeva a problemi reali, e non un diabolico piano di corruzione, e ricordarsi che molti scandalizzati di oggi sono stati i più fermi sostenitori di Fazio. Lo dice anche l'algido Mario Monti. Lo ribadisce chiunque rammenti la battaglia per l'italianità delle Generali. Primo alfiere, nell'occasione, Alessandro Profumo.

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