Pd: Bersani invoca il dialogo, ma sposa Di Pietro

Il segretario del Pd incontra Tonino e getta le basi per un’alleanza a lungo termine, dopo che il leader Idv aveva chiesto un matrimonio "non di interesse". Ma le candidature per le Regionali sono ancora in alto mare, dal Lazio alla Puglia

Pd: Bersani invoca il dialogo, ma sposa Di Pietro

Roma - Nella lingua di Shakespeare, staremmo a contare solo i sospiri: «... oh, è il mio amore! Se solo sapesse di esserlo! Parla eppure non dice nulla... No, sono troppo audace, non è a me che parla...». Ma nel giorno in cui si avverte inesorabile il calo del desiderio, l’oscuramento pressoché inevitabile di quel «partito dell’amore» invocato da Berlusconi, vengono in mente soltanto le crude parole della realtà, l’ultimatum di Tonino Di Pietro recapitato pochi giorni fa al partito di Bersani: «Non vogliamo un matrimonio di interesse, né una notte d’amore elettorale. Fare un’alleanza con l’Idv e poi ammiccare agli assassini della democrazia è inaccettabile: non ci sia allea solo per andare a letto il giorno prima delle elezioni» (repetita iuvant).

E ora, consumatosi ieri il ritorno di fiamma tra Idv e Pd con un incontro che nessuno nasconde essere andato bene (questione candidature a parte), la lingua batte dove il dente duole. Per dirla alla Di Pietro, non è stato un matrimonio né una notte d’amore, ma il ritorno a casa del guerriero con tanto di frusta. Del marito e padre padrone, con quel che ne consegue per la «moglie» fedifraga. La breve stagione primaverile di Bersani si conclude sotto il carro armato, con il tallone giudiziario che spegne le ultime fiamme del dialogo. Tutto scontato, tutto previsto. Come ha commentato Paolo Bonaiuti «la fase elettorale è scontata: siamo vicini alle Regionali e se Bersani ha dimostrato una disponibilità al confronto, ma la paura delle Regionali sembra maggiore».

Contano le Regionali, naturalmente. E lo stesso povero segretario aveva dovuto ammettere che, sic stantibus, il Pd avrebbe potuto ragionevolmente aspirare a tre regioni sulle tredici al voto in primavera. Indispensabile costruire a tutti i costi un’architettura delle alleanze che reggesse. Il capomastro Di Pietro ha fatto però subito i conti del calcestruzzo: «Devi di’ che è un’alleanza strutturale, Pierluì. E del tuo partito non mi fido, lo devi dì pubblicamente...». Che altro avrebbe potuto fare, il leader costretto ogni giorno a tenere in piedi un Botteghino tanto scalcagnato? Neppure l’autocandidatura della Bonino nel Lazio - un accidente venuto a togliere le castagne dal fuoco - è stata accettata dal Pd con l’umiltà di chi riceve un dono della Provvidenza. Avrebbero dovuto esultare per l’«oriunda» capace di far dimenticare il caso Marrazzo, e invece si sono scannati, tanto che ancora ieri non era chiaro se fosse scongiurata del tutto l’ipotesi di primarie. Questo per non parlare del pasticciaccio brutto della Puglia, con l’incredibile rinuncia a Vendola (che almeno avrebbe potuto contare sul traino di essere governatore uscente). Nel Pd ognuno dice la sua, ognuno seguendo una propria linea politica, ed è ormai chiaro - confida un collaboratore - che «sono gli eventi a decidere per Bersani».

In una situazione del genere, persino il Pdl ritiene inutile prendersela con il segretario del Pd, costretto a ingoiare ancora una volta la zuppa dipietresca. Con il corredo di frasi altisonanti, cui s’era già abituati, sulla giustizia. «Stiamo entrando in un tunnel pericolosissimo: ci metteremo di traverso». Con la conseguente paura del «disarticolamento del sistema giudiziario per le esigenze di una persona», di «un’amnistia per i colletti bianchi». Al Senato, risponde tosto la capogruppo Finocchiaro, «siamo già di traverso», e ci si prepara a tutto l’ostruzionismo possibile.

Ma ciò che resta, di fronte al vagolare mite di un Bersani che si appella al «senso di responsabilità di una parte della maggioranza», al suo sospirare che «ogni giorno ha la sua pena», è proprio un senso di impotenza che rende inutile ogni «fuitina amorosa», ogni tentativo di sfuggire al destino crudele, al rapporto rifiutato e ancora una volta subito da parte di un partner che lo tiene in pugno. «No, non è a me che parla», deve convenire il Romeo-Berlusconi.

Bersani parla a Di Pietro, all’amore imposto dalle Bindi e dai Franceschini, dai Veltroni e dal (presunto) popolo viola. «È che l'amore è una parola strana. Vola troppo», spiegava una canzone di Giorgio Gaber. Troppo di fantasia, troppo tra le nuvole. Poi torna il rude marito contadino, e son dolori.

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