Il Pd pensa all’Ue, ma rischia la vita in Sardegna

Veltroni si aggrappa alle elezioni europee come estrema àncora di salvezza. E non si placa la battaglia sulla leadership

Il Pd pensa all’Ue, ma rischia la vita in Sardegna

Roma C’è un marziano a Roma. E sta finendo come nello splendido racconto di Ennio Flaiano: che, dopo averlo osannato idolo dell’altro mondo possibile, lo guarderanno aggirarsi disorientato e solitario negli uffici di largo del Nazzareno. Finché qualcuno gli farà caso gridandogli, con romana perfidia: «’A marzianooo!...».
L’uomo sceso dal pianeta rosso s’è messo un nome americano, ma solo nel suono: Uòlter. Della politica di cui voleva farsi portatore, del partito utopico che doveva far sognare, nulla s’è visto e si vedrà. Sogno svanito in un «puf!». Oggi i suoi Pidì si parlano come nella prima Repubblica, a nuora perché suocera intenda. Una cinica attitudine all’ipocrisia, unica eredità delle grandi tradizioni comunista e democristiana dalle cui ceneri il partito è nato. Uòlter Veltroni, marziano de’ noantri, s’abbronza al sole di Obama e fa il leader che guarda oltre, alla crisi planetaria, all’ecologia che «darà un milione di posti di lavoro» (s’era già sentito). Eppure il suo orizzonte più prossimo, a Ovest, è soltanto la generosa terra di Sardegna. Dietro la quale il sole d’Italia tramonta e, se il risultato delle Regionali sarà l’ennesimo flop, anche il segretario del Pd s’inabisserà.
Alle sue spalle, dentro il Pd all’amatriciana, intanto è accaduto di tutto e di tutto continua ad accadere. I rutelliani se la prendono con l’Unità di Soru, troppo dipietrista, per intendere che loro, da quel «pescecane travestito da spigola» (come dice chi l’ha conosciuto da vicino) non si faranno sbranare. Il traguardo fissato per dare il benservito al «carissimo» Uòlter rimane la sfida delle Europee. Ma intanto la Sardegna rischia di franare sul Pd, come già l’Abruzzo. Un doppio salto mortale, prima del quale ecco infuriare il dibattito sulla legge elettorale per le Europee: apparentemente un dettaglio tecnico, sostanzialmente lo spartiacque tra un Pd che regge e un Pd che si dice addio. «La successione a Veltroni è lo scioglimento del partito», spara a chiare lettere Massimo Cacciari. Però non è ancora detto, e i notabili sanno che rimettere tutto in ballo è sommamente rischioso: più conveniente rispedire subito Uòlter su Marte e riprovarci, trovando in Bersani (nome proposto dai dalemiani) una nuova guida. Meno sognante, con i piedi ben piantati a terra per alleanze a destra e a manca.
Bersani promette di avere un sacco di «idee buone» che tirerà fuori soltanto al congresso d’autunno del partito (e se non ci si arriva?). Ma intanto l’«utopia distruttiva» di Veltroni, già rigettata con sdegno da D’Alema, diventa «masochismo puro» nelle parole di Enrico Letta, che si gioca un futuro dentro il Pd con l’occhietto vispo in direzione del Centro di Casini. Spiega Letta il giovane: «Il masochismo è il male oscuro del Pd. Se il tema che noi portiamo all’occhio dell’opinione pubblica come quello che ci sta più a cuore è lo sbarramento e la legge elettorale, finiamo per alienarci l’interesse della gente. Ciò che ritengo sbagliato è dare l’idea, che stiamo dando, che siamo quelli che andiamo a pietire in ginocchio da Berlusconi un aiuto per essere più forti nel voto utile...». Gli risponde criptico il vice di Veltroni, Dario Franceschini: «Trovo questo dibattito interno sulla legge elettorale per le Europee autolesionista e personalmente fastidioso. Se c’è qualcuno tra di noi che oggi ripropone il 3 per cento di sbarramento, lo fa unicamente per far saltare tutto e andare a votare senza sbarramento...».
Tutti disdegnano il dibattito, ma intanto se le mandano a dire. Traduzione presto fatta: D’Alema vede di buon occhio il 3 per cento, per consentire alla sinistra radicale di misurarsi e riorganizzarsi. In ogni caso, divisa, raggranella di più e può fare da sponda a un Pd non isolato dal mondo terrestre, come quello visto finora. Progetto complanare a quello di Letta. E se martedì, all’assemblea dei gruppi, l’area dalemiana mettesse sotto i veltroniani con l’idea del 3 per cento, andrebbe a monte l’ennesimo piano strategico di Uòlter, che tende a indebolire sinistra e centro. Per proporre agli elettori il solito menù rifritto: o mangiate la nostra brodaglia indigesta, o morite berlusconiani. Un diktat di «voto utile» sulla cui efficacia ormai in molti nutrono dubbi: «Non è affatto sicuro che uno sbarramento al 4 per cento porti al Pd il voto utile, anzi, potrebbe ingrassare l’astensionismo risentito. E se Berlusconi non avesse cinicamente calcolato questi nostri costi, perché mai avrebbe fatto un regalo al Pd?», dice il prodiano Franco Monaco.


Eppure Uòlter, che pensa in grande, sull’argomento sorvola: «Io da mesi parlo solo della crisi economica, della gravità della recessione, di come uscirne, della disastrosa assenza di Berlusconi... Tutto il resto mi sembra abbastanza marziano». Frase che rende chiaro come il partito gli abbia già comprato il biglietto di sola andata, per lassù.

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