"Il Pd? Solo propaganda fatta bene"

Salvi, es ds passato nella Sinistra democratica: "Un partito vero non nasce scegliendo il leader. Ora c'è il rischio di destabilizzare il governo"

"Il Pd? Solo propaganda fatta bene"
Roma - Senatore Cesare Salvi, dal ’71 fino allo scioglimento della scorsa primavera lei ha militato nel Pci-Pds-Ds. Avrà notato anche lei una precisione più che bulgara, da vecchia Ddr, nella gestione di queste primarie...
«La partecipazione è stata immensa e deve indurre a riflettere. Però è vero: dalle liste ai risultati, al trattamento dei media, mi pare che tutto sia stato preparato con, diciamo, attenzione veltroniana».

Walter, il solito mago di comunicazione e propaganda.
«La campagna tivù ha certamente aiutato, ho visto presentare schede e simboli come se si trattasse di elezioni vere... Però sbaglierebbe chi si fermasse a questo. La grande partecipazione è stata una risposta all’antipolitica. Così come anche la manifestazione di An ha avuto un grande successo...».

Ah, non erano elezioni vere?
«Chi ha potuto mai pensarlo?».

In effetti mancavano concorrenti veri: chessò, D’Alema, Bersani, Marini, Pannella, Di Pietro...
«Diciamo che si è trattato di una manifestazione riuscita».

Manifestazione?
«Propaganda fatta bene. La bizzarria è un’altra».

Pensavamo fosse questa.
«Un partito vero non nasce eleggendo un leader».

Trionfo della scienza politica anche nelle percentuali dei candidati. Tutto perfetto. Troppo?
«Se vuole sostenere che si è votato con liste bloccate, le stesse del tanto vituperato sistema delle Politiche, il Porcellum, ha ragione...».

Stalin non era in ogni seggio per controllare?
«...Se insinua invece che le burocrazie da cui è nato il Pd siano riuscite a controllare ogni voto è su una falsa pista. Riduttivo pensare soltanto alla grande macchina del Pci di un tempo: la gente ha partecipato per lanciare un messaggio, anzi due. Basta risse, unitevi. E svegliatevi, non mollate, Berlusconi è al 55-60 per cento!».

Resta il fatto che il 75 per cento di Veltroni, come dire?, era nell’aria fin dall’inizio.
«Capita, quando i veti tra le burocrazie dei due partiti cadono, capendo che l’unica persona che avrebbe potuto salvarli dallo sfracello era Veltroni. Qualsiasi persona di buonsenso l’avrebbe fatto».

Ora Prodi è sulla graticola.
«Tutto dipende da Veltroni. Come gestirà il partito, e il piano delle alleanze. Questo è il vero punto interrogativo. È chiaro che questo governo non è un monocolore Pd, ma una coalizione obbligata con la sinistra. Se qualcuno volesse inaugurare in questa legislatura alleanze di nuovo conio - e c’è soltanto quella con Berlusconi - è ovvia la destabilizzazione».

A Letta junior, in campagna elettorale, è sfuggito un esplicito riferimento alla «crisi di governo d’autunno». Ci siamo?
«Si sa che in periodo di finanziaria una crisi di governo sarebbe particolarmente grave. Ma è quanto hanno minacciato esplicitamente i centristi di Dini, mettendo nel mirino la manovra. Non altri».

Vede almeno un rimpasto per sedare i risorgenti appetiti?
«Se è la lotta per mettere gli uomini di Veltroni e della Bindi al posto di quelli di D’Alema e Rutelli, è inutile e pericoloso. Il governo va reso snello ripristinando la legge Bassanini e revocando la normativa che ha consentito lo “spacchettamento”. Un salutare dimagramento ci sarebbe voluto fin dall’inizio».

Voi della Sinistra alternativa parlate parlate: intanto il Pd è realtà e la Cosa rossa una chimera.
«Spero che lo choc serva a porre subito rimedio al forte ritardo, perché più tarda l’unità, più i cinque partitini della sinistra enfatizzano le differenze, per rendersi visibili».

Ma siete sempre in disaccordo su tutto.
«È vero, dobbiamo lanciare un appello... Se non alla disciplina di partito, come si sarebbe detto un tempo, al comune sentire del senso di responsabilità».

Chiacchiere, se non fate anche voi un evento mediatico che funzioni.
«Chiaro. Per questo subito va fatta un’Assemblea costituente del partito della sinistra, con una fase intermedia di Federazione di partiti e singoli individui, retta da una direzione comune e con un simbolo già presente alle amministrative di primavera. Un semplice cartello elettorale non basta più».

Poi primarie per un leader.
«Tendenzialmente sono refrattario, e comunque per ora non vedo un nome che si imponga.

A noi socialisti non piace affidarci a un salvatore della patria».

Dica la verità, ha avuto la tentazione di andare a votare?
«Siamo seri. Io sono di stampo antico. Allora sarei potuto andare anche alla manifestazione di Fini...».

Ne condivideva la piattaforma?
«No, e nemmeno quella del Pd. Ognuno sta bene a casa sua».
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