Una pellicola difficile da seguire

da Venezia

Un giorno perfetto è il meno brutto dei film di Ferzan Ozpetek. Presentato per sua tenace volontà ieri in concorso alla Mostra - che a livello di stampa non l'ha gradito molto -, Un giorno perfetto (l'aggettivazione è ironica) pone il regista turco di fronte non all'indistinta solidarietà gaya romana che gli è cara, ma all'angusta famiglia piccolo-borghese, pur sempre romana, che cara non gli è. Dal figlicidio-suicidio sùbito introdotto, quindi senza suspense, da un agente (Valerio Mastandrea) della Polizia di Stato in rotta con la moglie (Isabella Ferrari), si poteva trarre una secca storia di desolazione urbana. Ma la cifra pseudopoliziesca e realista di Simenon non è quella di una sceneggiatura di Sandro Petraglia, rimaneggiata da Ozpetek e ispirata al romanzo di Melania Mazzucco (Rizzoli).

Nemmeno qui Ozpetek si sottrae alla coralità e ciò rende questo film, ben realizzato tecnicamente, logicamente frammentario, quindi arduo da seguire; invece Douglas Sirk era bravo perché, nei suoi drammoni, faceva capir tutto anche a chi fosse uscito dal cinema per dieci minuti... Rispetto al romanzo della Mazzucco, il film di Ozpetek ha cambiato sesso a un personaggio, quello di Monica Guerritore, e ne ha aggiunto un altro, quello di Angela Finocchiaro, con esiti ininfluenti. Ma qualche concreta innovazione rispetto alla serialità ozpetekiana c'è: occupandosi di persone non-gaye, le porte fra un appartamento e l'altro di un condominio restano sbarrate. Con estrema diffidenza, si apre solo alla polizia...

Per Ozpetek, la comunità o è gaya o non è. E poi la non-gayezza del contesto non va scambiata per retour à l'ordre. È solo l'esito della giusta voglia di Ozpetek di dimostrarsi capace di raccontare anche il resto del mondo. Ma la condanna della famiglia, simulacro di normalità dove cova invece l'orrore, resta. Quello finale è annunciato.

Ma ci sono le sottili avvisaglie della sua maturazione, come l'aver chiamato «Kevin» il ragazzino paffuto e miope (Gabriele Paolini) che si vanta del padre poliziotto come di uno che «ha ucciso molti uomini»; o come il fallimento della madre, cantante ridottasi a telefonista. Un giorno perfetto è il terzo film italiano in un anno che presenta un call-center come ultimo scalino sociale. Segno dei tempi: una volta era il marciapiede.

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