Penelope Cruz: "La mia eroina onesta e selvaggia"

L’attrice spagnola protagonista di "Elegy", dove ha il ruolo di una donna condannata dalla malattia. Spiega: "Avevo letto il libro di Roth e sognavo questa parte". Accanto a lei Ben Kingsley e Dennis Hopper

Penelope Cruz: "La mia eroina onesta e selvaggia"

Berlino - Penelope Cruz mobilita la stampa spagnola, che la tallona per il mondo, come nessuna attrice italiana mobilita la stampa italiana. Ma il suo Elegy - sceneggiato da Nicholas Meyer e di produzione americana - in concorso ieri alla Berlinale, s'è rivelato film prevedibile, del filone «amore e malattia», tipico dei grossi festival.
Per giunta, quale che sia la nazionalità dei produttori, Elegy è film apolide: di regista catalana (Isabel Coixet), con co-protagonista trentenne e castigliana (la Cruz, appunto) nel ruolo d'una ventenne studentessa cubana, con un protagonista settantenne inglese (Ben Kingsley) nel ruolo di un sessantenne americano, alter ego di Philip Roth, autore del romanzo L'animale morente (Einaudi) da cui viene il soggetto.

Vista l'età, si può pensare all'inizio che innamorato e morente sia Kingsley; dalla storia si deduce invece che innamorata e morente è la Cruz. Fatto sta che i tanti giornalisti spagnoli confluiti a Berlino hanno mostrato nella conferenza stampa di credere che siano gli interpreti, non i personaggi, ad amarsi sullo schermo: sarà forse perché la scorsa estate era parso che la Cruz piacesse oltre misura a un altro settantenne americano e ebreo, Woody Allen, con cui stava girando un film a Barcellona... Comunque Kingsley ha smentito un trasporto per la Cruz in modo così netto che lei ha potuto tacere in merito. E, a giudicare dal suo sguardo, tanta perentorietà le è dispiaciuta.

Lei era arrivata con un abitino nero, come in nero erano Kingsley e la Coixet: il lutto aleggiante sul film ha dunque dato il look al cast. La Coixet era particolarmente coerente. È stata «scoperta» dal Festival di Berlino per via della Mia vita senza me, opera per la quale poteva restare serenamente «coperta». Tanto la Cruz è una massaia consapevole d'essere prestata al cinema, tanto la Coixet è un'intellettuale che si è scavata una nicchia nell'oncologia cinematografica, perché quasi sempre i suoi personaggi femminili hanno i giorni contati. Succede anche stavolta, però con un film più costoso dei precedenti, pensato per il pubblico americano. Il decesso è stato dunque procrastinato dopo la fine del film; s'imponeva però - almeno - una duplice mastectomia, che desse al personaggio della Cruz l'opportunità di farsi fotografare in extremis il seno ubertoso. Nel campo della cardiologia cinematografica va invece segnalato l'infarto che si porta via il personaggio di Dennis Hopper, poeta amico del personaggio di Kingsley. Né poteva mancare il figlio moralista (Peter Sarsgaard) sempre del personaggio di Kingsley, che rimprovera al padre, sessantottardo, di essere un libertino.

Però la «colpa» del film è sua: «Avevo letto il libro di Roth e sognavo di avere questa parte, di donna onesta, selvaggia, imprevedibile». La Coixet, regista intellettuale, è stata assunta dall'attrice popolare, insomma. Ma il libro di Roth, centrato sul paravento che la bellezza mette fra i sentimenti, non offre nulla a chi non si occupi di passioni studentesche e amori senili. Non ha neanche quel poco di interesse sociale de La macchia umana (2004), che Robert Benton trasse sempre da Roth e portò sempre al Festival di Berlino: lì il maturo professore era Anthony Hopkins, la giovane infelice era Nicole Kidman.

Tra i film antecedenti che un giornalista cinefilo ha proposto alla Cruz tra gli archetipi, per via dell'intellettuale seduttore, c'è stato L'uomo che piaceva alle donne di François Truffaut. Il problema era l'età della Cruz, analoga a quella del film.

Per toglierla d'imbarazzo, la Coixet s'è appropriata della risposta: «Il film di Truffaut da me più amato è La signora della porta accanto». Non c'entrava nulla col quesito, ma ormai era tardi e per tutti cominciava un altro film della Berlinale.

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