Perlomeno ci fanno ridere

Metti in piazza Montecitorio uno striscione con la scritta: «Governo Prodi vergogna». Mettici dietro non gli scandalosi contestatori della Cattolica o del Motor show o dell’università di Torino, ma addirittura dei parlamentari di Rifondazione e del Pdci, come Russo Spena, Rizzo ed altri. La fotografia è straordinaria e nello stesso tempo grottesca: la maggioranza che manifesta contro se stessa. Non è la «sinistra di piazza» contro la «sinistra di governo». Sono fisicamente le stesse persone che hanno votato la fiducia all’esecutivo e che ora gli si ribellano. Appare un’inedita, o quasi, forma della politica, ad essere più precisi dell’anti-politica, in cui le rappresentanze smentiscono se stesse. Quasi inedita perché, ad andare indietro nel tempo, un precedente c’è stato.
Fu quando, alla vigilia della Pasqua del 1997, una nave della marina militare colò a picco un barcone di clandestini albanesi. E una parte della maggioranza di allora manifestò, anche se in modo raccolto e drammatico (c’erano state oltre cento vittime), contro il suo governo. Si trattava, più o meno, della stessa maggioranza che c’è oggi e dello stesso presidente del Consiglio. La differenza fra i due episodi - in un caso un tragico incidente, nell’altro una scelta che riguarda le alleanze internazionali dell’Italia - non attenua la serietà del problema. Semmai l’aggrava, perché conferma che il «metodo Prodi» può garantire formalmente la governabilità, ma la proietta in una dimensione che, sul piano politico, è schizofrenica quando non è ridicola. Non c’era stata la «pace di Caserta»?
Il sit-in di ieri davanti alla Camera non ha radunato, come si può sommariamente pensare, una frangia estremista. Agli organizzatori va riconosciuto il merito di aver dato un’espressione compiuta alle culture che sono state promosse in questi anni nella sinistra. Le stesse culture che il presidente della Camera Fausto Bertinotti ha evocato l’altro giorno con una dichiarazione un po’ imprudente, perché è suonata come un’autorizzazione istituzionale alla protesta. Forse Bertinotti non pensava di alimentare un conflitto davanti a casa. Ma è successo, proprio perché quelle culture oggi sono straripanti nel vuoto lasciato dalla ritirata del moderatismo, del riformismo e del senso di responsabilità.
È successo anche perché lo stesso Prodi, giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, mese dopo mese, ha sempre dimostrato di appoggiarsi alle forze più estremiste, se non altro per non restare prigioniero di Quercia e Margherita. E per condurre lui la danza. Fino al momento in cui è stato costretto - proprio costretto - a confermare la scelta compiuta dal governo Berlusconi su Vicenza e si è trovato a leggere lo striscione con la scritta «vergogna» associata al suo nome. Sono i suoi elettori, sono i suoi alleati, sono anche coloro che gli hanno votato la fiducia. E che, una volta risaliti dalla piazza nelle sedi istituzionali, puntando su una rivincita, non hanno aspettato un solo momento a ricordare che alle porte c’è la votazione per il rifinanziamento della missione in Afghanistan.
Siamo ben oltre l’immagine politologica delle due anime della sinistra.

C’è una maggioranza che sta rivelando in questi mesi di avere un carattere ingestibile, se non nella chiave usata da Prodi, che ha dato via libera agli estremismi. Fino a ieri il problema sembrava essere in primo luogo il presidente del Consiglio. Ora è chiaro che il problema è l'Unione nel suo insieme, un’assemblea sessantottina al potere.

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