Da Pertini ad Amato, quel filo diretto coi direttori

Vespa: "La vera colpa del premier è non aver fatto ancora approvare la legge sulle intercettazioni". Mentana: "I rapporti fra Tg1 e palazzo Chigi sono sempre in rima. Ipocrita dire il contrario"

Roma Oddio, Silvio Berlusconi ha osato telefonare ad Augusto Minzolini. E l’ha pure chiamato «direttorissimo». Il primo si vergogni, il secondo si dimetta. Il Palazzo grida allo scandalo. Sul piatto c’è l’intricato rapporto tra chi gestisce la cosa pubblica e chi ha il compito di informare. È un diluvio di indignazione, sgomento, quella che emerge dalle dichiarazioni di chi, alternandosi con il centrodestra, fa parte della prima schiera. E i secondi? Coloro che hanno o hanno avuto in comune con il «Minzo» l’esperienza di comando, magari proprio al Tg1? Basiti, sbalorditi, anche preoccupati. Più o meno concordi nel dire che così fan tutti, con buona pace di un’ipocrisia galoppante. In linea, per capirci, con lo sbigottimento del diretto interessato: «Berlusconi? Mi avrà chiamato due o tre volte, non più e comunque quanto Casini e gli altri...».
In ordine cronologico, partiamo da Emilio Fede, dal ’92 alla guida del Tg4, direttore «pro tempore» del Tg1 per due anni (’81-83): «Sono allibito, spaventato. Dobbiamo rimpiangere la Prima repubblica, quando non esistevano le intercettazioni telefoniche di questa natura, che arrivano a colpire il capo del governo, e la privacy non veniva violata. E poi, dov’è lo scandalo? Anche ai miei tempi i politici mi chiamavano di continuo per confrontarsi, per discutere di quanto stava avvenendo, che non voleva dire prendere ordini. Nomi? Mi ricordo Fanfani, Pertini, Forlani, De Mita. E ancora prima, Moro».
Dal 1989 al 1993, fu il turno di Bruno Vespa. Che parte da una premessa: «Minzolini mi ha detto di essere stato convocato come testimone e di non avere alcuna notizia di avviso di garanzia. E il Tg1 è stato l’unico ad aver trasmesso un servizio sulla questione delle carte di credito. Resto quindi trasecolato che sia stato intercettato». Il padrone di casa a Porta a porta va oltre. «In quanto al rapporto con Berlusconi, sarebbe stato grave se il premier avesse detto a Minzolini di preparare un editoriale sul caso Spatuzza e lui l’avesse fatto. Il direttore del Tg1 ha detto invece che si sarebbe occupato della vicenda, ecco perché non capisco lo scandalo. Ciò che mi sconvolge è la lettura di intercettazioni improprie sui giornali. Ma, per paradosso, parte della colpa è di Berlusconi». In che senso? «La sua insoddisfazione sul provvedimento in materia, già approvato da un ramo del Parlamento, ha stoppato nei fatti l’iter della legge. Detto questo, considero normale che un premier parli con chi è a capo del Tg1. È capitato pure a me: mi telefonò Giuliano Amato, per illustrarmi la storica manovra da 92.000 miliardi. Non è dunque strano che ci siano contatti, purché un premier non chiami per ordinare: sarebbe gravissimo».
Si passa a Carlo Rossella, anche lui «direttorissimo» - superlativo «usato anche per il numero uno del Corriere della Sera» - dal ’94 al ’96. «Non è un fatto eccezionale che il direttore del Tg1 parli di tutto lo scibile umano con un politico», spiega l’attuale presidente di Medusa film. «Non ci trovo nulla di strano - aggiunge - visto che tutti ricevono e hanno ricevuto telefonate, da sinistra a destra. Parliamo di un giornalista che per il suo ruolo rappresenta un interlocutore privilegiato. Tanto che io spegnevo il cellulare alle 20.30...». Rossella contesta invece «l’uso riprovevole che si fa in Italia dei cosiddetti brogliacci» e chi dimentica lo spoil system. «Non riesco a scandalizzarmi, le nomine sono sempre influenzate dalla maggioranza del momento», facilmente evidenziabile se si scorre l’elenco dei vari direttori nel corso degli anni. E poi, racconta, «quando dirigevo io, parlavo pure con i leader dell’opposizione, tanto che con D’Alema e Bertinotti siamo pure diventati amici». Tra l’altro, conclude, mirando al caso Spatuzza, «basterebbe andare a rileggere i giornali di quei giorni per vedere cosa diceva Berlusconi e dare atto a Minzolini del suo fiuto, con quell’editoriale che anticipava un giudizio poi unanime».
Preferisce glissare, seppur con cortesia, Gad Lerner, al timone del Tg1 per tre mesi, nel 2000, non per merito del centrodestra: «Non dico nulla». Stessa linea e identica gentilezza da parte di Antonio Di Bella, per otto anni, fino allo scorso ottobre, direttore del Tg3: «Mi scusi, davvero, ma non intendo commentare». Dice la sua invece Enrico Mentana, che del Tg1 fu inviato e conduttore: «I rapporti tra Tg1 e Palazzo Chigi sono sempre stati in rima. È ipocrita dire il contrario. Però, un conto è tenere un ideale confronto istituzionale, un altro è sfociare nella complicità, entrando nella pericolosa zona grigia. Insomma, una cosa è conoscere i politici, un’altra è avere un filo diretto». Forse anche per questo, quando ricorda i 12 anni di direzione al Tg5, sottolinea: «Ho avuto anche la fortuna di guidare un tg per un editore privato, ma non ho mai gradito né cercato rapporti fissi con lui».
Chiude il cerchio Paolo Liguori, che per il gruppo Mediaset guida il TgCom: «I direttori di testata hanno il compito, anzi il dovere di parlare con i politici. Ha sempre funzionato così, pure quando esisteva, ai tempi della Dc, la cosiddetta banda del cappuccino: alcuni capiredattori lo prendevano insieme agli uomini di De Mita.

E non ci vedevo nulla di male quando Lerner o Riotta si confrontavano con i vari D’Alema, Prodi, Veltroni. Anche per questo penso che sia in atto una violenta campagna contro Minzolini. Perché se lo fanno loro, si tratta di normale dialettica, se lo fa lui, diventa servo di Berlusconi».

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