«Dal petrolio italiano 100 miliardi per ripartire»

da Roma

Signor ministro Scajola, una crisi peggiore di quella degli anni Trenta. Alle porte c’è il rischio di una recessione senza precedenti.
«La crisi finanziaria è molto grave, nessuno lo nasconde. Dagli Stati Uniti si sta propagando in tutto il mondo. L’unico antidoto, come dice il Nobel per l’economia Robert Solow, è il rilancio dell’economia reale, della produzione industriale, del lavoro, della ricerca e dell’innovazione».
È una parola... Il sistema Italia reggerà?
«L’Italia è in una condizione migliore rispetto agli altri Paesi, perché siamo la seconda economia manifatturiera d’Europa, dopo la Germania. Le nostre imprese si sono ristrutturate e hanno innovato negli ultimi anni, e continuano a mietere successi sui mercati mondiali, visto che anche nei primi 7 mesi del 2008 le esportazioni nei Paesi extraeuropei sono cresciute del 9 per cento. E poi non va dimenticato che gli italiani, proprio nei momenti più difficili, sono riusciti sempre a reagire con il proprio intuito, con la propria fantasia...».
Sarà, ma intanto tra i risparmiatori la paura si diffonde.
«Va detto che il nostro sistema bancario e assicurativo è più prudente, in taluni casi si può dire sia stato persino “avaro” nel concedere finanziamenti. Così oggi è meno esposto ai rischi di insolvenze. E poi le nostre famiglie sono meno indebitate di quelle americane: in questi anni hanno continuato, nonostante tutto, a risparmiare».
Una bella iattura, per il suo ministero, che dovrebbe puntare allo sviluppo.
«Lo continuiamo a fare intervenendo in molti settori: dall’energia alla semplificazione amministrativa, dalla detassazione dei premi di produttività e degli straordinari al sostegno all’internazionalizzazione delle imprese. Nel piano triennale dello Sviluppo, approvato per decreto prima dell’estate, e nel ddl Sviluppo collegato alla Finanziaria, che approveremo entro Natale, abbiamo inserito numerose norme per sostenere l’impegno del sistema produttivo italiano».
La bolletta energetica sarà sempre più salata.
«Vero: noi spendiamo per l’energia il 30 per cento in più di altri Paesi europei, il 60 per cento in più della Francia. Colpa anche del referendum antinucleare di vent’anni fa, senza che dopo venisse compiuta una scelta diversa, con investimenti adeguati. Così la nostra bolletta energetica pesa per 60 miliardi di euro l’anno. Assieme all’enorme debito pubblico che abbiamo ereditato, due fattori che incidono enormemente sulla competitività dell’intero sistema».
L’Italia vuole tornare a puntare sul nucleare?
«In Normandia, con l’Enel, già partecipiamo alla costruzione di una nuova centrale di terza generazione, con il 15 per cento. Sarò lì, a Flamanville, la prossima settimana. Un’esperienza importante...».
Volete costruirla anche in Italia? Ma non ci vogliono almeno dieci anni?
«La cosa paradossale è che per costruirla ci vogliono cinque-sei anni, e altrettanti in Italia per la parte autorizzativa. Però ci stiamo già muovendo: stiamo definendo i criteri per la localizzazione, per la tecnologia, per le procedure. Terremo fede alla promessa di mettere la prima pietra di una nuova centrale prima della fine della legislatura».
Interventi più a breve?
«Nel breve-medio periodo pensiamo anche a semplificare le procedure per la ricerca di nuove risorse che esistono già, nel nostro sottosuolo: un miliardo di barili stimati, pari a circa 100 miliardi di euro. A questo aggiunga lo sviluppo di gasdotti ed elettrodotti, e la borsa del gas, che partirà nelle prossime settimane».
In momenti di crisi economica, servirebbe che imprese e sindacati “facciano la pace”?
«Sì, ci auguriamo che la trattativa tra Confindustria e sindacati sulla riforma della contrattazione riesca a raggiungere un punto di equilibrio, superando le polemiche. Bisogna avvicinare la produzione alla retribuzione, e per questo servono i contratti aziendali. L’appiattimento non aiuta neppure i lavoratori: speriamo che questo venga capito e condiviso da tutto il mondo sindacale».
Con la Cgil i rapporti non sono così facili.
«Spero che si sia ai prodromi di una ripresa di relazioni. A pensar male si fa peccato, ma ci si azzecca: dopo la manifestazione del Pd, che deve riempire le piazze...».
Veltroni ha cambiato toni, ha paragonato Berlusconi a Putin. Il dialogo è una chimera?
«Quella era francamente una posizione ridicola: chiunque si rende conto che in Italia non esiste un problema democratico... Spero appunto che, dopo la manifestazione propagandistica di fine ottobre, anche il filo del dialogo possa essere riannodato».
Il Pdl è il partito che ha vinto le elezioni, eppure la fusione tra An e Fi sul territorio sembra ancora inconsistente.
«Non è vero. Nella mia regione, in Liguria, il processo di unificazione tra Fi e An è già avviato, e lo stesso sta avvenendo in altre regioni. Certo, a volte ci sono resistenze degli apparati. Ma ormai la nave è salpata, e non torneremo indietro».
Come costruirebbe il nuovo partito?
«Un partito leggero, ma non evanescente. Non pesante, ma organizzato. Perché deve preparare e selezionare la classe dirigente del futuro.

Deve essere il partito della gente, come ha voluto Berlusconi: dunque va costruito assieme alla gente, avvalendosi di tutti i mezzi, anche tecnologici, per consultare direttamente i cittadini. Guardi la sinistra: è in crisi proprio perché grande è la sua lontananza dai bisogni della gente».

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