Rame, petrolio, gomma naturale, titanio, gas, uranio, Terre rare, tungsteno, fosforo, alluminio, manganese, cobalto... Sono alcune delle materie prime che l'Europa considera «critiche»: un elenco di 34 beni di cui il Vecchio continente necessita, ma non produce. Dove li trova? Sempre di più, in Paesi con i quali la tradizione di rapporti commerciali non è ben consolidata, o che sono collocati in aree instabili, potenzialmente inaffidabili e tirati per la giacchetta dai giochi delle varie potenze... Per l'Occidente si tratta di una questione cruciale: l'approvvigionamento di queste materie prime è fondamentale per il benessere, il progresso tecnologico, la transizione ecologica, le missioni aerospaziali, gli armamenti. Quindi, capire dove questi beni, diventati preziosissimi, si trovino in abbondanza è un modo di leggere il nostro presente e il nostro futuro e, anche, di interpretare i rapporti fra le potenze. Specialmente quando diventano (o rischiano di diventare) conflittuali. Guerre economiche e battaglie reali, colpi di stato, azioni di spionaggio, infiltrazioni a colpi di contratti milionari: è anche così che si combatte, oggi, la sfida globale. Fra droni e miniere. Razzi e esportazioni. Embarghi e bombe.
Le mappe del tesoro (Hoepli, pagg. 226, euro 22,90) di Paolo Gila e Maurizio Mazziero è una guida per orientarsi nella «geopolitica delle materie prime» che, sostengono gli autori, è «la vera sfida strategica del XXI secolo». Il saggio è ricco di dati e informazioni, non solo sulla produzione ma anche sulle riserve di questi beni ambitissimi. Perché è sul futuro che si gioca la vera partita: per esempio, oggi gli Stati Uniti sono i maggiori produttori di petrolio a livello mondiale; ma è l'Arabia Saudita a possedere i maggiori giacimenti al mondo ed è il Venezuela a vantare le più ampie riserve mondiali (oltre 300 miliardi di barili). Soltanto un Paese dell'area occidentale, il Canada, ha grandi riserve ancora da sfruttare. Per avere un esempio di che cosa possa accadere, basti pensare al gas naturale, di cui i principali produttori sono Usa, Russia e Iran. La Cina è quarta per produzione, ma necessita di importazioni ingenti, così come l'Unione europea. Quest'ultima si era sempre rifornita dalla Russia ma, in seguito alla guerra in Ucraina, il flusso si è interrotto. Risultato: non solo l'Europa ha dovuto trovare altri fornitori, ma la Russia ha guardato a oriente per vendere il suo gas... Stesso discorso per il grano e l'aumento dei prezzi dei beni agricoli causato dal conflitto fra Russia e Ucraina. La produzione nell'area del Mar Nero ha raggiunto tali livelli «da mettere in crisi l'intero equilibrio globale qualora tali quantità non siano in grado di giungere sui mercati». Non solo: «Anche i beni agricoli, alla pari di combustibili, metalli e Terre rare, sono diventati asset strategici idonei a essere usati come armi di pressione geopolitica». Per esempio: la carenza di cereali in alcuni Paesi come Nigeria, Sud Sudan, Somalia o Etiopia può causare carestie e un'instabilità politica in cui inserirsi, sia con milizie private, sia rifornendo armi, sia approfittandone per creare nuove sfere di influenza. Negli ultimi anni ne hanno approfittato Cina e Russia, molto meno l'Occidente.
In quest'ottica di alleanze ed equilibri, spiccano anche Paesi «inaspettati». È il caso dell'Australia che «con le sue miniere di uranio, i suoi porti e la possibilità di controllare i flussi dei mercantili e delle forze navali cinesi, è un avamposto strategico». O della Repubblica democratica del Congo, il più grande produttore mondiale di cobalto e immensa riserva di molte materie prime, inclusi diamanti e petrolio. Cobalto significa (insieme al litio, che si trova soprattutto in Australia e in Messico) batterie per le auto elettriche e pile per smartphone, tablet, pc e fotocamere digitali. Insomma, tutto il nostro mondo tecnologico. La Cina ha acquistato molte riserve in anticipo, per giocare sul fabbisogno futuro di cobalto; gli Stati Uniti hanno risposto con una «battaglia ibrida» ancora in corso nel Paese africano. C'è poi la Groenlandia, col suo potenziale di Terre rare sotto il permafrost, che attira Cina e Russia (avete presente la serie tv danese Borgen?). Le Terre rare si utilizzano in ambito industriale, militare e tecnologico, dal touchscreen ai droni dagli Lcd alle pale eoliche: il fatto che Pechino ne detenga praticamente il monopolio ha consentito ai cinesi di usarle come arma geopolitica già nel 2010, contro il Giappone, ed è uno dei motivi che sottintendono al contenzioso in corso su Taiwan.
Infine, nella geopolitica del futuro non vanno sottovalutati i beni del passato (come insegna anche la questione del grano). Il vecchio carbone, che l'Europa vorrebbe eliminare, ma di cui sono stati estratti oltre 8 miliardi di tonnellate nel 2022 - record storico - perché per Cina, India, Indonesia e tutti i Paesi in cerca di maggiore sviluppo rappresenta una fonte di energia fondamentale. L'oro, di cui la Cina sta facendo incetta con l'obiettivo malcelato di sostituire il dollaro nel suo ruolo sul mercato globale.
E il ferro: per produzione (raddoppiata negli ultimi vent'anni) e richiesta è «un metallo diviso equamente a metà tra le due parti del mondo che si sfidano per affermare ognuna un nuovo ordine mondiale». Però attenzione: nell'acciaio la gara è già finita, e la Cina detiene già il dominio. L'Europa ha ripiegato sul riciclo.
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