Più fondi per Roma ma il Comune non li usa

Daniele Petraroli

Nuova pioggia di milioni (di euro of course) su Roma. L’articolo 122 della Finanziaria in discussione in Parlamento autorizza la spesa di 150 milioni per «ciascuno degli anni 2007, 2008 e 2009 per la prosecuzione degli interventi per Roma capitale della Repubblica». A questi bisogna aggiungere «20 milioni di euro per ciascuno degli anni 2007, 2008 e 2009 per la realizzazione del nuovo palazzo dei Congressi all’Eur e di 42,5 milioni di euro per ciascuno degli anni 2007 e 2008 per la realizzazione della città dello sport a Tor Vergata». Aveva dunque ragione il sindaco Veltroni ad auspicare un governo «amico» per dare più forza (e più soldi) a Roma in tal modo da poter realizzare un maggior numero di interventi strutturali? Le cose non stanno esattamente così. La vicenda di «Roma capitale», infatti, è molto più complessa e difficile da spiegare di quanto possa dire una semplice cifra stanziata dal governo. E riguarda, per prima cosa, il modo in cui questi soldi sono stati utilizzati. E per seconda, la funzione della legge 396 del 1990 che ha istituito i finanziamenti straordinari per la nostra città.
Cominciamo dai fondi non spesi. E forniamo le prime cifre. Dal 1990 all’inizio di quest’anno su 1.355 milioni di euro stanziati, 620 milioni, pari al 46 per cento del totale, sono rimasti inutilizzati. Soldi messi a disposizione della Ragioneria comunale e rimasti a giacere per oltre un decennio. O meglio, dei quasi 3 miliardi di vecchie lire assegnati ne sono stati poi erogati poco più della metà perché le opere non sono mai cominciate. Più precisamente. Su 311 progetti solo 210 sono stati completati. Dei restanti 101, 51 attendono non solo la chiusura dei lavori ma addirittura l’avvio del cantiere.
Questi i numeri reali. Ma la situazione si rivela ancor più disastrosa se andiamo ad analizzare più in profondità la legge 396 del 1990. Innanzitutto le scadenze inizialmente previste non sono mai state organicamente aggiornate. Cosa significa? Semplicemente che i progetti vanno avanti secondo un iter che non prevede scadenze. Cosa ancor più assurda per una legge nata per fronteggiare le emergenze di Roma. In più sono state completamente modificate e alterate le priorità previste originariamente nella legge, quali lo Sdo (sistema direzionale orientale), l’università e la tutela del territorio. Rutelli e Veltroni hanno preferito rincorrere opere il cui effetto mediatico fosse più elevato, come Auditorium, Ara pacis e Centro congressi, che affrontare, grazie ai mezzi economici messi a dispozione dai vari governi, i problemi più urgenti di Roma come quello della viabilità. La mancanza di una programmazione organica e seria da parte dell’amministrazione capitolina, che ha preferito quindi discrezionalità e improvvisazione, ha prodotto anche un’altra conseguenza, oltre a quella di aver utilizzato come detto appena la metà dei soldi disponibili. E cioè ha fatto lievitare i costi originari delle opere. L’Auditorium, per esempio, è costato più del doppio di quanto preventivato ma ad oggi ancora non è stato effettuato un consuntivo completo. Altro esempio di mala amministrazione l’Ara pacis. Costi enormi a parte, il «capolavoro» di Meier adesso porterà a ridisegnare completamente piazza Augusto imperatore e il lungotevere (con ulteriori spese) per adattarla al contesto. Il cantiere della Galleria Giovanni XXIII, invece, è stato chiuso con un ritardo di 3 anni sui tempi previsti. In generale il 65 per cento dei progetti ha subìto manomissioni nella programmazione.

Modifica dell’oggetto dell’appalto, spezzettamento in più lotti con conseguenti onerosi rinvii o ritardi per centinaia di milioni di euro.
Ben vengano, allora, i 150 milioni di euro ogni anno per «Roma capitale» (nel 2006 sono stati 70). Sperando che poi il Comune si ricordi di utilizzarli.

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