«È piccolo e fuori dai giochi così il mio film fa simpatia»

Il regista, figlio di Maurizio: «Non l’hanno visto in molti, ma è anche vero che è costato pochissimo»

«È piccolo e fuori dai giochi così il mio film fa simpatia»

Michele Anselmi

da Roma

«Stacca il telefono per un’ora, poi ti spiego». Saverio Costanzo, figlio di Maurizio, 30 anni appena compiuti, l’ha saputo così dal suo socio e produttore, Mario Gianani. Anzi «non» l’ha saputo. Incuriosito, s’è collegato al sito dell’Anica, dove già campeggiava la notizia: Private rappresenterà l’Italia nella corsa all’Oscar. Non capita spesso che un esordio venga designato per quel cimento. «Cimento armato», direbbe Totò. Ma i tre sponsor più autorevoli, e cioè gli «oscarizzati» Bernardo Bertolucci, Dante Ferretti e Vincenzo Cerami, nel portare la pratica in commissione devono aver pensato che quel piccolo film indipendente, onusto di gloria e di premi, possedesse i requisiti giusti. Ci avranno preso? Lo sapremo il 31 gennaio, quando saranno rese note le cinquine. Intanto Costanzo, dal suo buen retiro toscano, dove sta rifinendo la sceneggiatura di In memoria di me, tratto dal romanzo Il gesuita perfetto di Furio Monicelli, fratello di Mario, si gusta il momento felice.
Davvero non se l’aspettava? Dicono tutti così.
«Non ci pensavo proprio. Non sapevo neanche che Gianani, in extremis, l’avesse candidato. Ho viaggiato fuori Italia. Al mio ritorno, tre giorni fa, mi sono rinchiuso qui, senza leggere i giornali».
Va be’. Sono due settimane che si litiga sul sistema scelto dall’Anica per designare il film da spedire all’Oscar, e lei ignorava tutto.
«Lo giuro. Ma sono felice che la commissione abbia scelto il mio film. Credo anche di sapere perché».
Ce lo dica.
«Perché è piaciuto, innanzitutto. Ma anche perché fa simpatia. È piccolo, indipendente, fuori dai giochi, non inquadrabile in un genere, a suo modo imprevedibile. Nasce apolide, proiettato verso il mondo, infatti l’abbiamo venduto in trenta paesi».
Però in Italia l’hanno visto, nonostante la pioggia di premi, in 58mila spettatori. Pari a un incasso di 320 mila euro.
«Vero. Ma è anche vero che è costato 700-800mila euro, cioè niente. E poi non mi faccia parlare di soldi. Ammetterà, Private (soldato in inglese, ndr) racconta una storia tutt’altro che facile: palestinesi, soldati israeliani, la tensione nei Territori occupati, il confronto duro ma non impossibile tra nemici. Mi hanno accusato di aver fatto un film filopalestinese, addirittura con venature antisemite. Nego. Ho evitato accuratamente ogni tentazione ideologica. Chi doveva capire ha capito. Infatti molti israeliani, quando gliel’ho mostrato, l’hanno accolto con favore».
Nondimeno, esce in America distribuito dalla Arab Film...
«Le rispondo di nuovo con le parole del mio produttore: non è mica Al Qaida. È una piccola etichetta che propone oltreoceano film mediorientali, di qualità, a partire da Kiarostami e Makhmalbaf. Cinema d’autore, dovunque apprezzato. Dove sta lo scandalo?».
Non teme proprio il parere dei giurati americani? Sul tema sono piuttosto sensibili.
«Guardi. Private l’abbiamo già presentato negli Usa. A San Francisco è stato premiato dai critici. A New York, invece, non è piaciuto ad alcuni esponenti, i più conservatori, della comunità ebraica. Va bene così. Del resto, non è che tutti i palestinesi ci abbiano applaudito. Anzi. Il film divide. A tratti irrita. Ma rivendico la sua vitalità: perché mira alla pancia ancora prima che alla testa. E questo, di solito, piace al pubblico americano».
Entrerà nella cinquina?
«Non lo so. Intanto il film esce l’11 novembre all'Angelika Film Center di New York. Servono molti soldi per fare campagna, almeno 200mila dollari. Noi non li abbiamo. Mi pare già incredibile essere stati designati dall'Italia. Un po’ mi viene da ridere. Troppi premi. Troppo clamore. Sa, è difficile ritrovare un percorso interiore dopo un successo. Certo, ho una gran voglia di andare alla Notte delle stelle, ma resto coi piedi per terra: un Oscar al primo film significherebbe uccidere una carriera appena cominciata».
Modelli?
«Germania anno zero di Rossellini.

Soprattutto La battaglia di Algeri di Pontecorvo. Gli americani apprezzarono. Spero che facciano lo stesso col mio film. Con tutto il rispetto per la tradizione, l’Italia al cinema non può essere solo pescatori, isole, dialetto e mozzarelle».

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