Di Pietro vuole sfruttare lo scandalo ma sbaglia i tempi

Fiutato "l'odore di sangue il leader dell'Italia dei valori ieri è volato a Bologna per chiedere le dimissioni di Delbono. Ma il primo cittadino aveva già annunciato il suo ritiro

Di Pietro vuole sfruttare lo scandalo ma sbaglia i tempi

Roma - È andato dove sentiva odore di sangue. Ha volteggiato per un po’ sulla testa della vittima designata e senza nemmeno affaticarsi troppo, quando ha capito che questa non ce l’avrebbe fatta, è sceso giù in picchiata a farne scempio. Antonio Di Pietro ieri era in missione per conto di se stesso a Bologna nelle ore in cui il sindaco Flavio Delbono stava ammainando la bandiera rossa, travolto dallo scandalo sentimental-amministrativo alla mortadella. Non proprio salire sul carro del vincitore; diciamo piuttosto scendere prima del capolinea da quello dello sconfitto.

Ecco così l’ex magistrato invocare a gran voce quello che già tutti sapevano già ineluttabile: le dimissioni di Delbono stesso. «L’Italia dei Valori non poteva e non può sopportare più ambiguità, c’è necessità nel nostro Paese di uno scatto etico: al di là delle responsabilità penali ci sono responsabilità politiche che vanno affrontate di petto», ha detto Di Pietro con piglio tribunizio. Per dovere di cronaca va detto che l’atto di sciacallaggio politico così ben congegnato è riuscito a metà per ragioni cronometriche: la conferenza stampa del leader dell’Idv era convocata per le 14, ma già alle 13.30 le agenzie di stampa davano per certe le dimissioni di Delbono, di fatto anticipate dal capogruppo Pd in Comune Sergio Lo Giudice dopo un incontro con il quasi-ex primo cittadino. Poi, in consiglio comunale, alle 15, l’ufficializzazione dell’addio. Vabbè, insomma, che importa? Nel frattempo Di Pietro aveva segnato il suo gol a porta vuota. Perché a lui, come a quello scommettitore della pubblicità, piace vincere facile. Soprattutto quando l’avversario è il Pd di questi tempi, in versione Tafazzi.

Avversario, sì. Perché dal febbraio 2008, quando l’allora leader del principale partito del centrosinistra Walter Veltroni ebbe la brillante idea di allearsi con l’Italia dei Valori per le elezioni dell’aprile è chiaro che il vero obiettivo del partito di Di Pietro è stato fare opposizione al governo e... all’opposizione per rosicchiare l’elettorato allo sbando del Pd. A quel che resta del Bottegone, del resto, prima del voto che portò per la terza volta a Palazzo Chigi Silvio Berlusconi, Di Pietro aveva giurato se non amore eterno, quasi. «Iniziamo un percorso che avrà come obiettivo fondere i due partiti in un’unica grande forza», disse il politico molisano al momento del matrimonio elettorale. Macché: «Quando si è accorto che aveva un numero sufficiente di parlamentari per costituire un gruppo parlamentare tutto da solo, Di Pietro ha stracciato quell’impegno», accusò Veltroni pochi mesi dopo (era l’ottobre 2008) facendo istanza di divorzio.
Il fatto è che, costrette sui banchi dell’opposizione, le due forze avevano mostrato caratteristiche inconciliabili: roba di Dna, mica pinzillacchere. Esausti, sbandati, flebili, propensi al dialogo con la maggioranza i piddini di Veltroni, poi di Franceschini, poi di Bersani.

Aggressivi, populisti, forcaioli, demagogici, sbraitanti gli idivvini di Di Pietro, pronti a occupare tutti gli spazi lasciati liberi - per ignavia, stanchezza, scoramento, scollamento con l’elettorato - dagli altri, ansiosi di accreditarsi agli occhi dell’elettorato di sinistra a caccia di un capopopolo purchessia, come i veri antiberlusconiani in servizio permanente effettivo.

Operazione compiuta, a giudicare dalle urne aperte negli ultimi anni: dal 4,4 per cento ottenuto alle politiche del 2008 la lista di Di Pietro è volata all’8 per cento delle Europee 2009. Lo sciacallaggio sarà biasimevole ma paga. Altroché, se paga.

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