La polemica Dopo l’articolo di Veneziani

Marcello Veneziani indica un problema centrale della nostra con-temporaneità: alla crisi economica odierna nessuno sembra capace di rispondere in termini sia politici, sia filosofici. Anzi, proprio questo secondo aspetto mostra, a suo avviso, la mancanza di una «tenuta» culturale e sociale in grado di fronteggiare il generale “smarrimento” dovuto all’assenza comune di valori. Veneziani, soprattutto, non sembra accettare che la vittoria del mercato e della «società aperta» venga considerata un traguardo definitivo e irreversibile della storia umana, così come era stato profetizzato circa vent’anni fa da Francis Fukuyama. C’è da chiedersi, ma perché questa nostalgia di un pensiero “forte”, capace di conferire senso all’esistenza? Si può tentare una risposta ricordando alcune cose riguardo alla vittoria del capitalismo. Perché il capitalismo ha vinto? Non c’è dubbio: perché ha interpretato in modo continuativo e dirompente il processo di secolarizzazione e dunque l’intera modernità. Lo ha interpretato talmente bene che, a questo punto, non si capisce più se il capitalismo è interprete della secolarizzazione-modernità o se la secolarizzazione-modernità non è altro che il capitalismo medesimo.
Ora, se la secolarizzazione-modernità non è altro che il volto «socio-culturale» del capitalismo, per chiunque intenda rifiutare questo assetto socio-economico la partita è già persa in partenza. Si consideri altresì che il mercato e la «società aperta» hanno prodotto un’oggettiva sintesi di libertà e di benessere, di laicità e di ricchezza - all’interno dell’Occidente - la quale non ha riscontri con tutto il passato della storia umana. Il capitalismo, perciò, è inseparabile dalla forma politica liberal-democratica che lo accompagna. Questo spiega la sua natura vincente: al suo interno, infatti, esso non ha alternative. Infatti le determinazioni delle coppie libertà-laicità, benessere-ricchezza sono potenziate, ampliate e diversificate dal momento che invadono incessantemente strati sempre più ampi di popolazione. Il significato profondo - e altrettanto indubitabile - di questa vittoria consiste in un gigantesco paradosso che può essere così sintetizzato: tutti coloro che criticano il capitalismo e il mondo occidentale presentano un comportamento schizofrenico, che sembra confermare la spontaneità di questa tendenza antropologica, nel senso che essi rifiutano ideologicamente il capitalismo, ma sono incapaci di rinunciare ai suoi benefici. Perché, allora, il capitalismo viene criticato? Crediamo che la risposta sia questa: si accettano i benefici della «società aperta», ma non si vuole pagare il prezzo che essa comporta: l’alienazione personale e sociale dovuta all’individualismo. Esso sancisce l’insuperabile condizione esistenziale della modernità, dato che non c’è alcuna modernità senza individualismo: se si rifiuta l’alienazione si rifiuta l’individualismo, se si rifiuta l’individualismo si rifiuta la modernità. Se si vuole la libertà dei moderni, bisogna pagarne il prezzo.
È evidente che, dal punto di vista ideale, questo orizzonte sociale ed esistenziale non si presenta certo esaltante. Non trasmette infatti la forza di una fede e di un sentire comune.

Tuttavia poiché un sistema di valori non può essere inventato a tavolino, lasciamo che esso germogli da sé, anche se ognuno deve fare la sua parte. E qui concordo pienamente con Veneziani: la vita riserva sorprese. Con un’aggiunta, però: la società liberale può essere migliorata, ma deve rimanere un traguardo irrinunciabile.

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