Polemica sulle mutande A Pisa osceno è l’altare non i boxer con la torre

Ai turisti di Piazza dei Miracoli vengono offerti slip e boxer con la Torre pendente raffigurata come organo sessuale maschile. Protesta la Diocesi, ma la vera "oscenità" è un'altra

Polemica sulle mutande 
A Pisa osceno è l’altare 
non i boxer con la torre

Avrei volentieri fatto a meno di una nuova polemica con la Curia di Pisa, di cui, in verità, avevo evocato il buon diritto a prendere posizione sul ridicolo, più che osceno, caso dei boxer con l’immagine delle torre di Pisa. Andiamo con ordine. Una giornalista mi telefona dandomi notizia della decisione del Comune di Pisa, con tanto di intervento dei vigili urbani, di vietare la vendita di boxer con la torre, non so perché definita «fallica», con l’aggravio di una multa agli ambulanti. Già così, la decisione poteva sembrare sproporzionata da parte dell’autorità civile, ma ancor di più leggendo sul verbale la motivazione: trattasi di «merci offensive del pubblico decoro».

Premesso che non avevo ancora visto le contestate mutande, ho risposto all’intervistatrice. La prima domanda era cosa pensassi delle bancarelle in piazza dei Miracoli. Vecchia questione, da me affrontata in passato anche da sottosegretario, con una sostanziale assoluzione per gli ambulanti. Certo non sono belle, offrono materiale ripugnante, deturpano l’armonia degli spazi, diffondono il cattivo gusto. Tutto questo rientra nella categoria del kitsch o del trash, di cui fanno parte anche i boxer e tanti altri oggetti che intercettano il cattivo gusto dei turisti. Che fare?

È evidente che il problema è nella scuola, e nella sua incapacità di stabilire misure e confini rispetto al cattivo gusto. Ma, nell’arte contemporanea, il trash è molto diffuso, il kitsch può essere opera d’arte, e i riferimenti alla sfera sessuale molto diffusi: si parte con l’orinatoio di Duchamp nel 1917, passando per la merda di artista di Piero Manzoni, per arrivare all’esibizione di Cicciolina. Che dire? I musei accolgono e consacrano «opere» di questa natura, legittimandole a dispetto di ogni verbale di vigile urbano. Dove comincia l’osceno? Ed esiste?

Proprio per questo, mentre manifestavo dubbi sull’intervento dei vigili, evocavo il buon diritto della Curia a indicare - come quando si indicano regole sul vestiario per entrare in chiesa - entro quale misura si possano sfruttare le particolari condizioni di un luogo, nei limiti del decoro e del rispetto della spiritualità. La Chiesa ha questo titolo, il Comune, come lo Stato, no.

Difficile è anche legiferare, nell’estetica trasgressiva del nostro tempo, cosa sia «offensivo del pubblico decoro». Non ci si può nascondere che, nei luoghi di religiosità popolare o di turismo di massa, da questa miscela di spiritualità e bellezza deriva un commercio incontrollabile ma motivato. Impossibile eliminarlo, e molto difficile anche solo regolamentarlo. Ma nessuno può impedire alla Chiesa di indicare delle limitazioni. Nello specifico non posso non osservare, ignorando la posizione comprensibile della Curia, che l’intervento del Comune poteva ottenere un risultato controproducente: dare visibilità a ciò che sarebbe, altrimenti, stato ignorato. «Nessuna censura è più efficace del silenzio» suggerii a un vescovo di Romagna, quando mi chiese come comportarsi essendo in una mostra esposto il video di un uomo che si masturbava. «Non lo interrompa, lo lasci finire - suggerii - altrimenti si leggerà: “Il vescovo ha interrotto una sega”, con effetti catastrofici». Non intervenendo, non si è avuta notizia del sedicente artista, diversamente da quanto è avvenuto con i bambolotti di Cattelan a Milano, la rana crocifissa a Bolzano, la Madonna che piangeva sperma a Bologna. Tacendone, sarebbero state ignorate nel silenzio, invece con l’intervento dei vigili i boxer con la torre sono diventate una notizia.

Ma la Curia di Pisa non mi perdona, non queste considerazioni assolutorie, ma di avere evocato un’altra «oscenità». Mi riferisco all’intervento nella cattedrale dello scultore, da me presentato anche alla Biennale di Venezia, Giuliano Vangi, la cui opera (come pensa anche il «pisano» Salvatore Settis) è in stridente contrasto con il monumento in cui è stata posta. L’altare è in disarmonia con le leggi canoniche che non prevedono la mortificazione di un monumento, soprattutto nell’interpretazione di Benedetto XVI che si è espresso in tal senso nell’introduzione al libro Rivolti a Dio. Si può riconoscere la chiara fama di Vangi, ma non per questo non valutare l’inopportunità della scelta, e la violenza patita dall’edificio storico. Alla domanda: «L’illustre critico vorrà concedere alla Chiesa la competenza per quanto riguarda il culto liturgico nei luoghi propri?», rispondo che non si tratta di culto liturgico, ma di rispetto del monumento.

L’intervento in cattedrale mi pare più grave, per cattivo gusto, delle brutte ma insignificanti mutande “illustrate”. Proprio per questo condivido, nell’uno e nell’altro caso, il richiamo da parte della Curia «al buon gusto, al rispetto della città e del luogo». In entrambi i casi, traditi.

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