La politica delle mani in tasca

Ilvo Diamanti su Repubblica commenta i sondaggi sugli orientamenti elettorali, è schierato a sinistra ed è persona seria. Ieri confortava le file del suo schieramento sostenendo che la distanza tra sinistra e coalizione guidata da Silvio Berlusconi, rimane ampia: e ci sarebbe anche una flessione dei consensi alla leadership di Berlusconi.
Nel suo articolo si avvertiva, però, inquietudine: a due settimane dal voto ben il 29 per cento degli interpellati si rifiuta di rispondere. Per chi ricorda come i partiti demonizzati dalla sinistra, egemonica sugli opinionisti che «piacciono», sono sempre sottostimati, e come un tempo non si riuscisse a trovare in certi ambienti un solo democristiano, mentre poi nelle urne lo scudocrociato aveva il primato, per chi ha buona memoria certi segnali appaiono inquietanti.
E Diamanti ha ragione di preoccuparsi. Dopo qualche settimana che il centrodestra era diventato come un topolino irretito dal pitone, e discuteva solo di declino italiano, del nostro Paese peggio del Benin come scrive Paolo Mieli, delle minacce di un incredibile Andrea Pininfarina di far uscire l'Italia dal G8. Quando sembrava che ormai il fato avesse deciso lo scontro elettorale. Improvvisamente si sente un'arietta nuova. Non tanto determinata dai politici di centrodestra. I primi a dare segnali di novità sono stati gli operatori finanziari, i commercialisti, quelli che tastano il polso ogni giorno di chi risparmia. Le persone pratiche sono riuscite a sottrarsi all'incantamento dei pitoni e hanno avvertito: guardate che quelli della sinistra vi vogliono mettere le mani nelle tasche. Il telespettatore ascoltava discorsi astratti: colpiranno le rendite, ce l'hanno con quelli che hanno guadagnato sulle azioni bancarie, i Ricucci, i Della Valle. Poi ha improvvisamente cominciato a capire che quando la sinistra dice «rendite finanziarie» ce l'ha con il risparmio, non solo con i Bot, ma con gli investimenti in fondi e simili. Un po' per volta l'italiano medio (due su tre) che ha risparmiato molto in questi anni, ha compreso che quando da sinistra si dice che si vuole fare una media tra le imposte sui conti correnti postali e le cedole del risparmio gestito, ce la si ha proprio con lui. Si vuole tassare le sue plusvalenze al 20 (Visco che è più buono propone al 19) invece che al 12,5 per cento. Il risparmio dinamico quindi sarebbe ben bene tartassato, favorendo quello statico (i conti bancari), anche per fare un favore ai grandi banchieri (e ai loro giornali) che affiancano la sinistra. Altro che allarmismo del centrodestra: quest'ultimo è stato svegliato dalla società civile, in parte dal rumore dei suoi passi verso Svizzera (e Lussemburgo). Subito gli economisti snobbetti, quelli che l'unico problema concreto che paiono avere incontrato nella vita sono le code per i taxi, hanno cominciato a dire: «Ma sono aumenti nella media europea», «Ma non mettono in discussione gli equilibri macroeconomici», e così via. Per fortuna nel segreto dell'urna si può seguire i consigli dei consulenti fiscali o di amici con la testa sulle spalle, senza correre il rischio di essere dileggiati.

E siccome, secondo il vecchio detto che la representation è legata innanzi tutto alla taxation (la rappresentanza parlamentare ha innanzi tutto il compito di decidere sulle tasse), il cittadino senza scimmia sulla spalla (stampa «indipendente», deliri antinazionali, economisti snobbetti) può mandare al paese la proposta della sinistra di mettergli le mani nelle tasche: operazione in cui rapinatori come Amato, Prodi e Visco sono ben sperimentati.

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