Nonostante il dibattito sull’introduzione di un salario minimo orario di 9 euro sia al centro dell’agenda di Pd e M5s, i dati attuali suggeriscono che una misura universale non è necessaria. La maggior parte dei lavoratori dipendenti italiani, infatti, percepisce retribuzioni superiori a tale soglia. Più che imporre un limite rigido, è prioritario rafforzare i meccanismi di contrattazione collettiva (soprattutto di secondo livello) per affrontare i casi di dumping salariale.
La distribuzione delle imprese e il peso delle grandi realtà
In Italia, la struttura economica è fortemente caratterizzata dalla prevalenza di piccole e medie imprese. Secondo i dati più recenti, una significativa percentuale di lavoratori dipendenti è impiegata in aziende con oltre 10 dipendenti, che rappresentano circa il 10% del totale delle imprese, ma concentrano una larga maggioranza degli occupati. Questo dato suggerisce che le retribuzioni medie, in particolare in queste unità economiche più grandi, possono essere un valido indicatore per comprendere le dinamiche salariali complessive.
Retribuzioni medie: oltre la soglia del salario minimo
Nel 2022, il salario orario medio nelle imprese con almeno 10 dipendenti si è attestato a 16,4 euro, con significative differenze tra contratti part-time (12 euro) e full-time (17,3 euro). È quanto emerge dai dati Istat del report “Rilevazione sulla Struttura delle retribuzioni e del costo del lavoro (Rcl-Ses)” relativa all'anno 2022. Anche tra i lavoratori meno retribuiti, il 10% percepisce un massimo di 8,8 euro all’ora, una cifra vicina alla soglia proposta per il salario minimo, mentre il 10% più ricco supera i 26,6 euro orari.
Questo quadro dimostra che la contrattazione collettiva, già ampiamente diffusa nelle grandi imprese, garantisce standard salariali mediamente elevati. Tuttavia, occorre intervenire per estendere tali tutele alle fasce più vulnerabili, spesso impiegate in piccole realtà o in settori con retribuzioni basse come la ristorazione (10,9 euro orari di media).
I giovani e il gender pay gap: due questioni aperte
Le problematiche retributive si fanno più marcate per i giovani e le donne. Gli under 30 guadagnano in media il 36,4% in meno rispetto agli over 50, un divario che riflette sia la scarsa esperienza iniziale sia la qualità delle competenze acquisite. È importante sottolineare che il salario di ingresso tende a essere inferiore per chi inizia una carriera lavorativa, ma i dati suggeriscono una necessità di percorsi formativi e professionali più mirati per favorire la crescita retributiva nel tempo.
Per quanto riguarda le differenze di genere, il Gender Pay Gap (GPG) in Italia è pari al 5,6%, con una retribuzione media oraria di 16,8 euro per gli uomini e 15,9 euro per le donne. Il divario si amplia nelle professioni ad alta qualificazione e tra i laureati, dove raggiunge il 16,6%. Tra i dirigenti, il gap sale addirittura al 30,8%, evidenziando una persistente disparità nelle posizioni apicali.
Istruzione e competenze come fattori chiave
Un altro elemento fondamentale per affrontare le disuguaglianze retributive è il livello di istruzione. 58,8% in più rispetto a chi ha un livello di istruzione secondaria inferiore, ma le donne laureate guadagnano significativamente meno degli uomini con lo stesso titolo. Questa differenza evidenzia l’importanza di colmare il divario di opportunità anche nei percorsi educativi e professionali. I laureati percepiscono in media il
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