Il ruolo decisivo di Confindustria per contrastare la zavorra del debito

Nel nuovo mandato servirà stimolare le imprese, unica risorsa nazionale che può spingere la crescita del Pil verso il necessario 2%

Il ruolo decisivo di Confindustria per contrastare la zavorra del debito
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Lo stato della salute socio-economica dell’Italia appare in chiaro-scuro. Lo spread è stabile in una forbice di 135-140 punti. Il giudizio delle tre sorelle del rating di società e nazioni, Moody’s, Fitch e Standard & Poor’s, lo è anch’esso. Il debito pubblico è sensibilmente diminuito, posizionandosi intorno al 142% del Pil, quello francese è però sotto il 100, il tedesco intorno al 60 e lo spagnolo è intorno al 95%. Non è certo un dato consolante essere al vertici del debito pubblico in Eurolandia. A compensare c’è però la ricchezza degli italiani, stimata in 5,2 trilioni di euro quella mobiliare, con oltre 1,8 trilioni nei depositi bancari, e di circa 5 trilioni quella immobiliare, complessivamente oltre 4,5 volte il debito pubblico, ovvero il miglior rapporto percentuale tra debito pubblico e ricchezza in Europa. Ed è proprio questo dato che consente all’Italia di mantenere un debito pubblico così alto e gravato da interessi, da corrispondere annualmente, che con gli attuali tassi supera 100 miliardi di euro. Per ridimensionare corposamente e stabilmente il debito pubblico servirebbe una crescita del Pil in una forbice del 2-2,5%, percentuali impensabili in assenza di alcuni sostanziali fattori. La spesa pubblica, sovente fortemente inefficiente e scarsamente produttiva in termini di crescita socio-economica, l’impoverimento che ormai ha raggiunto i 6 milioni di persone, superando la soglia del 10% dell’intera popolazione, ne sono conferme innegabili.

Evasione ed elusione tributar0ia sono difficilmente stimabili, seppur si parli di oltre 100 miliardi di euro annui, ai quali si è accorpata la mancata corresponsione di tributi che ha superato il trilione di euro.

E poi c’è la carenza di investimenti pubblici, ma anche privati, con i primi da sempre impediti o costantemente ritardati dall’imperante burocrazia e i secondi troppo vincolati a un eccessivo indebitamento bancario, seppur calato nell’ultimo lustro, e scarsamente sostenuti dal capitale proprio delle imprese.

Tre componenti che di fatto limitano in misura possente la possibilità di avvicinarsi a quel fatidico + 2% di Pil annuo. Va anche però sottolineato che in questi ultimi 10 anni l’export è cresciuto di quasi il 50%, prossimo al 650 miliardi di euro, un risultato che va essenzialmente ascritto all’imprenditoria italiana e alla capacità di affermarsi in ogni parte del globo.
Per poter intensificare le possibilità di avvicinarsi alla crescita auspicata, necessaria per poter ridimensionare il debito pubblico e i costi che esso comporta, servirebbe però una vera e duratura razionalizzazione della spesa pubblica, limitando lo spreco e le inefficienze, assai diffuse, di almeno un 10%; e parimenti servirebbe una cospicua crescita dei capitali soprattutto italiani in investimenti proficui, a cominciare dal controllo della filiera, componente essenziale del Pil italiano, oggi sempre più sotto il controllo straniero delle committenze.

Ormai da oltre 20 anni sono esagerate le uscite di scena delle proprietà industriali italiane.

Moda e lusso, automotive ed elettronica da consumo sono i tre settori più importanti, dei quali è rimasta una qualificata e diffusa filiera in mani estere.

È importante che la maggior associazione datoriale, la Confindustria - nel prossimo mandato appena rinnovato con la designazione del presidente Emanuele Orsini (in foto) - punti a stimolare i suoi associati a quotarsi, fondersi e acquisire partecipazioni estere, traducendole in insediamenti in italia.

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