I migranti usati dai jihadisti e la scalata della Wagner. Tutti gli effetti perversi delle scelte francesi in Africa

Un filo rosso unisce il gesto del maliano a Parigi e la situazione geopolitica nel continente, ormai dominato dalla Cina, dalla Russia e dalla Turchia All’Europa sfuggono le nuove strategie del terrore

I migranti usati dai jihadisti e la scalata della Wagner. Tutti gli effetti perversi delle scelte francesi in Africa
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«L’Africa non deve mai perdonare la Francia», è la traccia valoriale di alcuni video su TikTok presumibilmente attribuibili al maliano Sagou Gouno Kassogue, che ieri ha accoltellato tre persone alla Gare de Lyon di Parigi. È tutto geopolitico il fil rouge che lega il gesto sconsiderato di un ragazzo con il disimpegno francese da quella porzione di Africa, dove è cresciuto a dismisura il potere coercitivo di super players esterni. Il 32enne originario del Mali era residente regolarmente in Francia dove era arrivato dall’Italia, giunto a Pozzallo nel 2016. E anche se la polizia pare escludeCC re al momento il movente terroristico, è un fatto che le politiche francesi in Africa non hanno prodotto gli effetti desiderati.

Anzi, proprio una serie di scelte non felici hanno, da un lato, favorito la scalata della brigata Wagner e, dall’altro, incentivato «l’uso dei migranti come strumento di pressione del jihadismo», parafrasando Alfredo Mantovano, sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei ministri e Autorità delegata per la sicurezza della Repubblica.
Passaggio che lo stesso Mantovano aveva sottolineato sin dal suo insediamento, evidenziando l’esigenza di costruire una collaborazione tra intelligence e diplomazia al fine di individuare le nuove strategie del terrore. Da queste premesse nacque la proposta di una Cia europea contro la minaccia del terrorismo. Perché dunque dal Mali, e anche da Burkina Faso, Niger, Sudan e Repubblica centrafricana potrebbero giungere nuovi attacchi alla Francia e all'occidente?

Punto di partenza lo status di Wagner, divenuto una sorta di anti Stato, in grado di aprire e chiudere i rubinetti dei golpe, delle rivolte e dei flussi migratori. Lo scorso novembre in Mali un gruppo di persone appartenenti alla brigata aveva issato la propria bandiera a Kidal, subito rimossa dai militari maliani. Una spia di come il braccio armato russo per la guerra ibrida in Africa sia ormai attivo in maniera chirurgica. Tre mesi prima il Mali aveva abbandonato il francese come lingua ufficiale, sancito addirittura dalla nuova Costituzione adottata dopo il referendum del 18 giugno 2023. Difficile da mandare giù per il paese che ha concesso nel 1960 l’indipendenza allo stato africano e che oggi vede franare il proprio peso specifico, in una porzione di Africa dove a dare le carte sono Cina, Russia e Turchia.

Il sentimento antifrancese ha preso a galoppare nell’intera fascia subsahariana delle ex colonie in cui si sono moltiplicate le accuse di fallimento militare rivolte all’Eliseo. Parigi inoltre da tempo ha deciso di interrompere gli aiuti allo sviluppo locale per i noti problemi al bilancio macroniano. Una vacatio che è stata riempita, per ora, da altri soggetti e che in prospettiva va gestita con un metodo come il Piano Mattei, prima che con altri interpreti, così come ribadito ancora una volta da Giorgia Meloni in occasione del vertice Italia-Africa di lunedì scorso.

Il tema, tra le altre cose, è al centro dell’attività del Copasir, che sta lavorando a una relazione mirata sull’Africa coinvolgendo intelligence, governo, diplomazia, aziende pubbliche e private come Eni e Confindustria.

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