E' entrata nel vivo, oggi pomeriggio a Bruxelles, la discussione tra i ministri delle Finanze della zona euro per il rafforzamento del Patto di Stabilità e per l'ampliamento del fondo "salva stati" già utilizzato nei casi della Grecia e dell'Irlanda. Una discussione tutt'altro che facile, perché il nuovo patto di Stabilità dovrebbe prevedere meccanismi più o meno automatici di riduzione del debito pubblico, e sanzioni anch'esse automatiche per i Paesi che non rispettano la tabella di marcia. Secondo la proposta sul tavolo dei ministri delle Finanze, i Paesi ad alto debito, come l'Italia, dovrebbero ogni anno ridurne l'ammontare di un ventesimo del differenziale fra l'entità e la soglia prevista dal Trattato di Maastricht. Una specia di "camicia di forza" che, se approvata così nuda e cruda, lascia pochissima autonomia di poltica economica ai paesi euro maggiormente indebitati. Per restare all'esempio dell'Italia, il diferenziale fra il nostro debito pubblico (sul pil siamo al 119%) e il 60% di Maastricht è circa il 60%. Questo 60% andrebbe ridotto ogni anno di un ventesimo.
I governi italiano e greco si oppongono a questa lettura schamatica del patto di Stabilità. In particolare, il nostro ministro dell'Economia Giulio Tremonti ha chiesto fermamente che nella valutazione della vulnerabilità di ciascun Paese venga tenuto conto di altri fattori, come l'indebitamento privato, delle imprese e delle famiglie, come la sostenibilità del sistema pensionistico, e come la solidità del settore bancario e finanziario. La Commissione Ue ha accettato questo principio, che però deve essere articolato nei nuovi meccanismi di "governance" europea.
Secondo tema controverso, le nuove proposte franco-tedesche sugli indicatori di competititvità da rispettare e sei azioni da realizzare nell'arco di un anno. Gli indicatori riguardano la stabilità del costo del lavoro (che per noi va bene, avendo abolito gli automatismi salariali); la stabilità delle finanze pubbliche considerando il debito "esplicito e implicito" (e anche questo per l'Italia va bene, grazie alle varie riforme delle pensioni già attuate, che ci pongono all'avanguardia in Europa); un tasso minimo, in percentuale al pil, di investimenti in ricerca, sviluppo e infrastrutture. Fra i sei punti, l'iscrizione nelle carte costituzionali di un meccanismo di allerta sul debito, come richiesto in particolare dalla Germania, e la creazione di sistemi nazionali di gestione delle crisi bancarie (che ci riguarda asai relativamente). La proposta di Berlino e Parigi non è stata adottata dalla Commissione, anche perchè non presentata ufficialmente a Bruixelles, ma resta pur sempre il "convitato di pietra" del vertice dei ministri finanziari.
Il complesso delle proposte in esame rapresenta, complessivamente, una "stretta" notevole all'autonomia di gestione delle economie nazionali: per questo motivo piace pochissimo al Regno Unito, geloso della propria indipendenza da Bruxelles. Ed è anche evidente come, nelle ore della discussione in Europa, sia controproducente parlare di aumento della spesa pubblica. Chi è al corrente di tale situazione si spiega dunque la prudenza del ministro Tremonti davanti a ogni richiesta di finanziamenti a favore di una "scossa" alla crescita. Prima è bene concludere la trattativa, poi si potrà agire. Sarebbe probabilmente sbagliato arrivare alla riunione dei Capi di Stato e di governo del 24 e 25 marzo prossimi con una situazione deteriorata dei conti, visto che sarà quella l'occasione per il "sì" del Consiglio europeo alle nuove norme che costituiscono la risposta complessiva dell'Europa alla crisi del debito sovrano.
Con ogni probabilità, la riunione di oggi pomeriggio non risulterà decisiva. La materia, come si è visto, è molto delicata e merita il massimo approfondimento. Alle 17 e 30 la riunione si alarga agli altri ministri finanziari dell'Unione, per discutere l'ambito di applicazione del meccanismo permanente del fondo "salva stati" che da metà del 2013 sostituirà l'attuale European Financial Stability Facility, utilizzato nei casi Grecia e Irlanda.
Si incomincerà anche a parlare, sia pure a livello informale, della successione a jean-Claude Trichet alla guida della Banca centrale europea, alla luce delle dimissioni da banchiere centrale di uno dei candidati più forti, il tedesco Axel Weber. Il governatore della Bundesbank, che lascia il suo incarico in aprile, è contrario alla linea attualmente seguita dalla Bce, in particolare all'acquisto di bond emessi da Stati membri da parte della banca cenrale. La rinuncia di Weber ha messo il difficoltà la cancelliera Angela Merkel, che non dispone di un candidato di riserva.
E rilancia le chance di mario Draghi, governatore di Bankitalia e presidente del Financial Stability Board, organismo incaricato dal G20 di rivedere le regole della finanza internazionale. Su Draghi c'è l'appoggio convinto del governo italiano. ma non mancano altri candidarti, dal lussemburghese Yves Mersch al finlandese Erkki Liikanen.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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