Renzi difende il nuovo fisco: uno schiaffo alla sinistra Pd

L'annuncio: il governo approverà i decreti tributari il 20 febbraio, dopo l'elezione del capo dello Stato. Il contrario di quanto avevano chiesto i dissidenti interni

Renzi difende il nuovo fisco: uno schiaffo alla sinistra Pd

Contrordine compagni. Matteo Renzi ci ripensa e decide di giocare all'attacco. Dopo aver avuto contatti con Pier Carlo Padoan (gira voce che si siano visti, ma non a Palazzo Chigi), il premier annuncia infatti che al Consiglio dei ministri del 20 febbraio porterà tutti i decreti legislativi che applicano la legge delega fiscale. E fra questi, anche quello che avrebbe dovuto introdurre una franchigia fiscale del 3 per cento del fatturato per gli imprenditori che avevano fatto ricorso a strumenti di elusione fiscale, la presunta norma salva-Berlusconi.

La nota del presidente del Consiglio arriva al termine di una giornata ad alta tensione all'interno del governo. E, di fatto, è un rilancio in piena regola. Non solo perché Renzi mette sul tavolo l'intero pacchetto fiscale - rendendo quindi più facile a Palazzo Chigi sganciarsi dalle «correzioni» richieste dal ministero dell'Economia - ma soprattutto per la tempistica. La data del 20 febbraio, infatti, è un implicito pugno nello stomaco a chi chiedeva che la questione fosse affrontata prima dell'elezione del successore di Giorgio Napolitano. Per quella data, infatti, la partita del Quirinale sarà già chiusa, con buona pace di quanti - minoranza Pd, Sel, M5S ma pura fronda di Forza Italia - ipotizzava «scambi» o «ricatti». Non è un caso che l'ex viceministro dell'Economia Stefano Fassina - autorevole esponente della minoranza dem - definisca «indecente» la «propaganda» di Renzi ormai «offensiva per l'intelligenza dei cittadini».

Il motivo del contendere, insomma, ormai è tutt'altro che tecnico. Ma si gioca tutto nel campo della politica. Tant'è che Renzi conferma che il riordino tributario sarebbe arrivato dopo la scelta del Quirinale. E chissà che stasera, ospite di Otto e mezzo su La7, magari spieghi anche perché in quella riunione di governo, alla vigilia di Natale, Padoan abbia firmato la cartellina che conteneva il testo approvato «salvo intese» dal Consiglio. E lo stesso avrebbe fatto (per il concerto) il ministro della Giustizia, Andrea Orlando. Sapevano o non sapevano i due ministri che da lì a breve quel testo sarebbe cambiato con l'introduzione dell'articolo «19 bis»?

Le ricostruzioni su quel Consiglio dei ministri si sprecano. Unici fatti certi sono: il testo del provvedimento (senza il «19 bis») era stato elaborato dalla commissione del ministero dell'Economia, presieduta da Franco Gallo; che la gestione del provvedimento era stata affidata a un consigliere di Pier Carlo Padoan, Vieri Ceriani; che il gabinetto del Mef non conosceva i contenuti; che l'articolo «19 bis» non è stato discusso in Consiglio dei ministri.

Da quel punto in avanti, c'è la nebbia (che, verosimilmente, verrà diradata stasera da Renzi). Il premier si è assunto la «responsabilità politica» del «19 bis». Anche perché sembra che a introdurre materialmente la norma della franchigia del 3 per cento sia stata Antonella Manzione, da lui voluta come responsabile del Dipartimento affari giuridici e legislativi della presidenza del Consiglio. È ovvio che la Manzione non avrebbe mai introdotto misure in un provvedimento senza l'avallo politico di Renzi. E soprattutto non lo avrebbe mai fatto su un testo che i ministri dell'Economia e della Giustizia avevano già firmato in Consiglio.

Per bruciare il provvedimento, il «fuoco amico» della maggioranza ha detto che il «19 bis» sarebbe servito a Silvio Berlusconi. Ed a proposito del Cavaliere, Renzi nella nota serale spiega che «una legge si adotta se serve agli italiani, non se si immagina che possa servire o non servire a un italiano. Questa ossessione su Berlusconi sia da parte di chi lo ama, che da parte di chi lo odia - aggiunge - non mi riguarda. A forza di pensare a lui, per anni si sono dimenticati degli italiani. Noi cambiamo il fisco per gli italiani - conclude - non per Berlusconi. Senza fare sconti a nessuno, nemmeno a Berlusconi che sconterà la sua pena fino all'ultimo giorno».

E per provare a far dimenticare il pasticcio del decreto, il presidente del Consiglio

rilancia sulla riforma del pubblico impiego. «Premieremo quelli bravi - commenta - e stanghiamo i furbetti, senza paura delle resistenze delle piccole e grandi lobby e del potere di rendita dei signori della burocrazia».

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