Appena due giorni dopo l'annuncio fatto dai familiari della sua rinuncia a proseguire le cure contro il cancro al cervello, il senatore ed eroe di guerra John McCain ha perso alla vigilia dell'ottantaduesimo compleanno la sua ultima battaglia. È stato, come ha ben scritto ieri Paolo Guzzanti, un grande d'America e un convinto assertore dell'amicizia transatlantica, cioè di un'alleanza basata su valori realmente condivisi: l'esatto contrario, per intenderci, di quella malamente tenuta insieme a suo tempo dall'Unione Sovietica nell'Europa orientale con truppe d'occupazione, muri anti-fuga e cicliche invasioni riparatrici di rivolte popolari.
Tanto che oggi, in un'epoca che vede una irriconoscibile America in mano a un non-politico che di quei valori ben poco sa e ancor meno condivide, il Leitmotiv dei messaggi di cordoglio inviati dai leader dei Paesi alleati di Washington è proprio una dolente gratitudine per l'uomo che quell'alleanza avrebbe gestito con ben altro spirito e convinzione.
«È stato un onore chiamarlo amico del Regno Unito», ha scritto la premier britannica Theresa May; «Una delle più grandi figure politiche del nostro tempo, che si è battuto instancabilmente per un'Alleanza Atlantica forte», si è lamentata da Berlino Angela Merkel con chiaro riferimento a Trump che fa tutt'altro; «Un vero eroe americano che ha dedicato l'intera vita al suo Paese», afferma dall'Eliseo Emmanuel Macron, non a caso rimarcando con quel «vero eroe» la sua distanza dall'attuale presidente Usa che, indispettito per un voto contrario ricevuto in Senato da McCain arrivò a negarne lo status che più gli era caro, e che gli derivava da oltre cinque anni di durissima prigionia in Vietnam. Paese con cui poi, da senatore, aveva lavorato con successo per tessere nuovi legami, e da cui oggi giungono parole di rispetto in sua memoria.
John McCain, figlio e discendente di militari (era nato in una base Usa a Panama, suo padre fu comandante delle forze navali del Pacifico e un suo antenato aveva servito accanto a George Washington) incarnava lo spirito di servizio americano che sta al di sopra delle barricate politiche (che pure lui, da vero maverick quale era, frequentava con idee molto chiare e molto indipendenti) e all'occorrenza delle convenienze personali, senza alcun risparmio di sé.
Logica conseguenza di questo limpido spirito patriottico sono le lodi bipartisan che gli giungono in morte dal mondo politico del suo Paese. Dal fronte repubblicano lo rimpiangono George Bush padre e figlio («Alcune vite sono così fertili che è difficile immaginare che possano finire, alcune voci così forti che è difficile pensare che stiano per scomparire»), da quello democratico giungono le parole di rispetto di avversari convinti come Barack Obama («Abbiamo condiviso, nonostante le nostre differenze, una fedeltà a qualcosa di più elevato: gli ideali per cui intere generazioni di americani e immigrati hanno combattuto e sacrificato se stessi») e Bill e Hillary Clinton («McCain riteneva che ogni cittadino avesse la responsabilità di usare le libertà offerte dalla Costituzione: dal suo eroico servizio nella Marina ai suoi 35 anni al Congresso, viveva ogni giorno questo principio»).
Orgoglioso esponente del fronte tradizionale repubblicano annichilito da Donald Trump, McCain non ha mai nascosto il suo disprezzo verso l'attuale presidente, che considerava
inadeguato e finanche pericoloso per il suo stesso Paese e per il mondo. Ha lasciato detto di non volerlo ai suoi funerali, e così sarà. Trump si è limitato a un freddo e formale messaggio di condoglianze ai suoi familiari.
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