Per l'Italia un immigrato vale più di un bambino italiano. Netta, ma corretta definizione del modo di gestire il welfare di un Paese in deficit democratico, ma che non fa nulla per aiutare le giovani coppie. E favorisce l'immigrazione.
Da mesi, infatti, si sente ripetere che «abbiamo bisogno di migranti altrimenti non sapremo come pagare le nostre pensioni». E insieme all'approvazione dello ius soli , non sono mancati appelli ad ospitare profughi e richiedenti asilo «in casa». Ebbene, le famiglie che decidessero di aprire le loro porte potrebbero godere di un quoziente aggiuntivo sulla dichiarazione dell'Isee maggiore di quello che ottengono mettendo al mondo un bambino.
Andiamo con ordine. L'Isee è l'indicatore della situazione economica della famiglia e serve per definire chi può godere di vari benefici. Semplificando, il dato si ottiene sommando redditi e proprietà, dividendoli per il quoziente generato dal numero di figli a carico. Ma non solo. La norma prevede che «ai fini della determinazione del parametro della scala di equivalenza» se nel nucleo vi è un «componente in convivenza anagrafica», allora si «incrementa la scala di equivalenza di un valore pari ad 1». Tra questi «conviventi anagrafici», ci assicura il commercialista, «possono essere considerati anche i profughi ospitati a casa».
I migranti, infatti, non percepiscono reddito, ad eccezione dei 2,50 euro al giorno elargiti dallo Stato. Per questo potrebbero risultare a carico della famiglia che li accoglie, la quale avrà poi facoltà di inserirli nella dichiarazione Isee, ottenendo lo «sconto».
Bisogna poi ricordare che chi decide di aderire all'accoglienza «diffusa» ottiene dal ministero dell'Interno una parte dei famosi 35 euro. Ma l'assurdo sta nel fatto che un immigrato vale più del secondo o del terzo figlio. Perché? Semplice: secondo la tabella decisa dal governo, il secondo figlio fa aumentare il coefficiente della scala di equivalenza solo di 0,57 punti, il terzo pesa 0,67 e il quarto 0,77. Mentre il profugo potrebbe valere 1 punto intero.
«In linea di massima questo ragionamento è corretto» ci conferma il commercialista. Al momento, infatti, non si sono verificati casi simili. Ma è possibile che, qualora i progetti di ospitalità dei richiedenti asilo nelle famiglie dovessero andare avanti, si producano queste iniquità.
Tra i tanti Caf che non hanno saputo rispondere al quesito, mette un freno la Cisl di Padova. Il funzionario interpellato, infatti, sostiene che «l'unico modo per far sì che questa eventualità si verifichi è che l'anagrafe faccia entrare il profugo nello stato di famiglia di chi lo ospita». Per farlo, il richiedente asilo dovrebbe ottenere la residenza e spostarla poi all'indirizzo della famiglia ospitante. Fatto che ancora non si è verificato. Un viceprefetto molto impegnato sul fronte immigrazione, infatti, a taccuino chiuso ci conferma che le prefetture fanno in modo di «nascondere ai migranti il diritto ad ottenere la residenza».
Nel maggio scorso, però, Alfano ha emesso una circolare con le «Linee guida sul diritto alla residenza dei richiedenti e beneficiari di protezione internazionale».
Nella quale si afferma che un migrante ha diritto alla residenza nella forma di «convivenza anagrafica» dopo tre mesi dall'arrivo nei centri d'accoglienza. Una volta ottenuta l'iscrizione anagrafica, potrà spostarla così da risultare a carico della famiglia che lo ospita. Concretizzando la discriminazione nei confronti dei bambini italiani.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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