All'alba nel seggio di fortuna aspettando cariche e sgombero

Barcellona Quando la sveglia suona alle 5.45 di una domenica fredda e piovosa, Xavier mi aspetta già in strada. Ha 28 anni, fa l'educatore. Col buio arriviamo in scooter a una scuola elementare-media, quartiere Sagrada Familia. «Non scrivere il nome della scuola, gli insegnanti temono rappresaglie». L'ingresso è coperto da una barricata da guerra civile: tavoli sfondati e sacchi di sabbia. «Hanno incatenato il portone, caz.., e hanno perso le chiavi dei lucchetti», dice Xavier. Entriamo dal cortile sul retro. La luce delle torce riverbera sull'asfalto bagnato, dentro l'illuminazione è al minimo. Il corridoio del seggio è disseminato di giacigli improvvisati, tutti sono svegli. L'odore di chiuso si mescola con quello di caffelatte e marijuana. L'aula del voto clandestino ha tre cattedre e un paravento. Le urne, dodici, avvolte in sacchi neri arrivano alle 8. La Policia potrebbe entrare a momenti, anche prima dell'apertura dei seggi alle nove. «Sedetevi per terra, non reagite», dice Juan, 68 anni, medico in pensione. I primi agenti sfondano la barricata alle 9.22. Quando 43 persone hanno votato e le urne corrono già in cortile. In venti, tra scrutatori e votanti, sediamo per terra in attesa.

«Lui non c'entra», grida Xavier, indicandomi «è qui per osservare». Mostro un foglio della polizia di Madrid che mi riconosce giornalista straniero, «Fuera!», mi urlano. Sparisco come un cartoon, e mi ritrovo tra la guerriglia in strada. RPell

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