È allarme aggressioni, le corsie come trincee. Arriva il "pulsante rosso" per difendere i medici

In Lombardia 2.163 violenze sui dottori. Il sistema di allerta in 4 ospedali

È allarme aggressioni, le corsie come trincee. Arriva il "pulsante rosso" per difendere i medici
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Si cerca di porre un argine all'escalation di violenze ai sanitari. Mercoledì un dirigente del Policlinico di Milano, 33 anni, è stato preso a calci dal figlio di una donna ricoverata, è finito a terra e si è ritrovato con un femore rotto. Il 13 dicembre 2022, il chirurgo Giorgio Falcetto, 76 anni, è stato ucciso a colpi di accetta dopo un litigio per un parcheggio, davanti all'ospedale San Donato. Lo scorso aprile la psichiatra Barbara Capovani, a Pisa, è morta per le martellate inferte da un suo paziente.

La Lombardia ha stimato in 2.163 le aggressioni ospedaliere in regione nel 2022. A questi numeri si aggiunga il sommerso di sberle, pugni, spintoni e parolacce che non è mai stato ufficializzato sulle denunce. Si rischia di più in pronto soccorso ma ci sono anche i reparti considerati più pericolosi: Psichiatria, Neuropsichiatria infantile, Neurologia e Malattie Infettive. «Da diverso tempo abbiamo attivati pulsanti di allarme in questi reparti in modo da avvisare la vigilanza interna quando ci accorgiamo che una situazione sta precipitando», fanno sapere dagli ospedali milanesi San Paolo e San Carlo. Alla luce dei fatti di cronaca i vertici della Sanità Lombarda hanno chiesto l'intervento della Prefettura milanese. Tutte le strutture del territorio hanno ricevuto il compito di potenziare la sicurezza ed è stato attivato il pulsante rosso. Un sistema aggiuntivo di allarme, al momento in funzione negli ospedali San Carlo, San Paolo, Niguarda e Fatebenefratelli, tutti già dotati di un posto di polizia, che permette l'arrivo di una volante in tempo reale. «Le aggressioni fisiche più violente arrivano da persone sotto l'effetto di droga o alcool - ha testimoniato Livio Colombo direttore del pronto soccorso del San Paolo di Milano - Cerchiamo di fare squadra, di essere sempre in due e di chiamare gli agenti quando ci accorgiamo che la situazione può degenerare. Poi ci sono le violenze verbali che riguardano perlopiù i familiari in attesa. Gli anni di pandemia hanno accentuato la diffidenza delle persone, il non poter vedere dove è ricoverato il proprio congiunto e non avere notizie per molte ore fa credere che non si stia lavorando. Per questo ci siamo impegnati, a fine turno, a contattare sempre i familiari». Che le violenze dei parenti si possano contenere con la comunicazione è convinto anche Saverio Chiaravalle, responsabile del pronto soccorso di San Donato, con 30 anni di esperienza in vari pronti soccorsi: «Le aggressioni da parte di pazienti e loro famigliari ci sono sempre state. Oggi c'è una maggiore affluenza perché vi è carenza di medici del territorio, il 90% degli accessi non è grave. Le persone restano in attesa a lungo, non ricevono informazioni adeguate e alcuni perdono la pazienza. La violenza non va giustificata ma noi medici abbiamo l'obbligo di interrogarci.

A San Donato abbiamo attivato un servizio di vigilanza privata che affianca l'infermiere al Triage e in parte aiuta». Negli ospedali San Carlo, San Paolo e Niguarda è partito anche il caring nurse: 4 infermieri si occupano di informare i familiari durante l'attesa nei pronti soccorso.

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